FT: Ci potresti raccontare il tuo percorso professionale?
Dopo la laurea in Economia e Commercio ho iniziato a lavorare in Wealth Management per alcuni tra i più importanti gruppi internazionali, seguendo lo sviluppo della struttura commerciale in Italia e lavorando a progetti normativi e regolamentari. Ho nel frattempo iniziato a seguire programmi di mentorship, riprendendo uno dei miei “sogni nel cassetto”: fare coaching e formazione. Nel corso degli ultimi 8 anni il confronto con mondo universitario, acceleratori e fondi Venture si e’ fatto più articolato e intenso, fino ad assorbire completamente tutto il tempo libero a disposizione. Attualmente collaboro anche con LeVillage a Milano, un modello di ecosistema nato in Francia (con più di 30 realtà operanti) e portato con successo in Italia, che mette in contatto big corporate, enabler e ovviamente startup.
FT: Cosa ti ha spinto a diventare Business Angel?
Credo molto nel concetto di “give-back”, concetto anglosassone ma sempre più adottato anche in Italia, che consiste essenzialmente nel poter restituire alla comunità qualcosa che noi abbiamo avuto fortuna e merito di aver ricevuto. L’idea di poter mettere a denominatore comune l’esperienza fatta lavorando a stretto contatto con imprenditori su diverse verticali, oltre ad una forte curiosità nei confronti di tutto quello che è innovazione si sono concretizzati qualche anno fa con l’adesione al primo gruppo di Business Angel. Avevo già maturato una discreta conoscenza dell’attività di un Angel in Usa e UK, e mi ha fatto piacere conoscere una realtà composta da professionisti che condividevano le mie idee e volevano in termini concreti dare un contributo allo sviluppo del nostro paese. Dico questo per chiarire un concetto essenziale: fare il business angel non vuol dire solo ricoprire la figura dell’investitore finanziario in progetti early stage, ma offrire quello che il MISE ha definito recentemente “smart money”, ovvero un rafforzamento del sistema delle start-up innovative italiane sostenendole nella realizzazione di progetti di sviluppo e facilitandone l’incontro con l’ecosistema dell’innovazione.
FT: Secondo la tua esperienza, qual è il modo più efficace di attrarre capitali per le startup?
I metodi per attrarre capitali sono diversi, e più o meno attivabili tutti a seconda della maturità della startup: round family&friends, Crowdfunding, Angel Investing, Venture Capital etc … senza dimenticare ovviamente i vari bandi o l’accesso a finanziamenti garantiti. Ritengo che non esista un canale per definizione più efficace, il migliore e’ comunque quello che riesce a garantire un equilibrio fra la qualità e la quantità dei mezzi raccolti. Una startup early stage necessiterà di importi che aiutino a validare l’idea, sperimentare il modello e iniziare a fare revenues, una in uno stadio più avanzato punterà alla scalabilità del business e ad un tem più completo. L’importante è ricordarsi sempre che raccogliere capitale in un equity round vuol dire aprire il proprio progetto a terzi, i quali avranno poi aspettative che non devono essere disattese, a rischio di non riuscire a finanziare la crescita in momenti successivi.
FT: Vista la tua specializzazione nel il fintech quali pensi siano i trend che spingeranno il settore nel 2021?
Il settore finanziario ha da tempo sperimentato la portata dell’innovazione. Basti pensare ai primi sistemi di robo-advisory, software progettati per la consulenza finanziaria e la gestione degli investimenti tramite algoritmi, nati nei primi anni duemila negli Stati Uniti. Da allora la tecnologia e’ stata utilizzata per ottimizzare flussi, ridurre i costi delle transazioni, creare modelli di contenimento del rischio e migliorare gli aspetti documentali. L’avvento di nuove tecnologie (in primis blockchain) e importanti novità normative (PS2D, Mifid) di sicuro creerà nuove funzionalità, fino ad ora non considerate, e spazio a sempre più nuovi player di mercato: si pensi al recente sviluppo delle Challenger Bank o alla DeFi (Finanza Decentralizzata, forma sperimentale di sistema finanziario che non si basa su intermediari centrali “tradizionali” come broker, exchange o banche e utilizza invece smart contract sulla blockchain)
FT: Ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che ha appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?
Lavorare in una start-up richiede una buona capacità imprenditoriale, con un elevato rischio di potenziale insuccesso. Ed essere bravi imprenditori e’ una qualità che si impara con una buona esperienza. La grande corporation, da questo punto di vista, può anche rappresentare un’ottima palestra e continuazione di quanto appreso durante gli studi accademici. Ma una volta acquisite le hard skills e affinate le soft skills penso che sia una bellissima sfida iniziare a lavorare in ambito fintech per una startup.