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INTERVISTA A MAURO MASSIRONI, HEAD OF SALES AT AZIMUT WEALTH MANAGEMENT

FT: Partiamo da te, ci potresti raccontare il tuo percorso professionale? 

Ho iniziato a lavorare come trader in ABN AMRO (poi AAA Bank), sebbene fossi sempre nell’abito finanziario, svolgevo di fatto un lavoro completamente diverso da quello che faccio ora.

All’epoca pensavo che l’essenza della finanza fosse dentro quei ticker che si muovevano su e giù sullo schermo del mio Bloomberg; mi sbagliavo di grosso.
Come scrive Paolo Basilico nel suo libro “Uomini e Soldi”: la finanza, nell’essenza, è una materia intimamente umana.
Ho capito solo in un secondo momento che il mio vero amore erano “le persone” e la finanza rappresentava il modo in cui potevo occuparmi di loro.

Attraverso la possibilità di affiancarli nella pianificazione e nella gestione dei loro investimenti (e dunque, in ultima analisi, della loro vita) oggi ho questa possibilità. 
Dopo un paio d’anni come responsabile ufficio studi di una banca con una piccola rete di consulenti finanziari, sono dunque arrivato nel 2008 in Azimut dove, dal 2013 lavoro nella Divisione Wealth Management, come Head of Sales. 

FT: Considerando la tua esperienza lavorativa, come pensi che la tecnologia possa aiutare nel processo vendita? 

La tecnologia è un abilitatore straordinario e può aiutare tantissimo in ogni fase del processo.

Nel 2017, CapGemini, ha pubblicato nel suo “World Wealth Report” un’analisi sull’hybrid advice, in cui descriveva il suo “Hybrid Advice Framework”.
Un processo di 5 step (profile/develop/execute/manage/report) in cui, per ciascuna fase, indicava quanto la tecnologia avrebbe potuto supportare/sostituire l’uomo.

Riprendendo, idealmente, quel processo, mi sento di dire che nella fase di “pre-sales” la tecnologia può indubbiamente aiutare a gestire meglio il funnel di vendita (ad esempio con tool di CRM e i tanti modi per fare lead generation). Si tratta, a mio giudizio, di qualcosa che consente di gestire e sfruttare al meglio il database dei contatti di ciascun consulente; database che -tuttavia- al momento continua a nascere e svilupparsi per lo più dall’interazione fisica e dalle referenze tra le persone ed i consulenti.

Nella fase successiva di on-boarding della clientela la tecnologia è indubbiamente uno strumento utile per assicurarsi un censimento corretto fin dal principio (non ci sono campi mancanti o errori di compilazione…) oltre che un supporto concreto al risparmio di carta (anche in ottica ESG) per la stampa di documentazione di onboarding che -periodicamente- viene poi mandata al macero.

Lo step successivo è quello dell’assestment e dell’analisi degli obiettivi: è lo step in cui  vedo ancora una componente assolutamente determinante della persona.
Se è vero che i tool ci possono aiutare a profilare meglio i clienti e possono suggerirci bisogni latenti in funzione dei profili (big data, smart data) è anche vero che è proprio in questa fase che l’empatia umana può fare la differenza rispetto ad un freddo questionario online.
Questa fase resta (e credo resterà per un po’) ad esclusivo appannaggio dell’interazione umana, quantomeno per i profili di alta complessità.

Durante la fase di proposta del portafoglio la tecnologia diventa invece fondamentale. 

Solo grazie alla potenza di calcolo dei computer oggi possiamo valutare un’offerta di prodotti di investimento così ampia come quella che offriamo ai nostri clienti e solo grazie ai computer siamo in grado di adempiere con serenità anche a tutti gli adempimenti normativi necessari per lo svolgimento della professione.
Nel monitoraggio successivo all’implementazione del portafoglio finanziario, la tecnologia può sicuramente aiutarci, grazie ad alert automatici (superamento di determinati limiti di volatilità o drawdown) e consentendoci di proporre ribilanciamenti o riallocazioni periodiche.
Anche in questo caso però, se la componente di “input” è sicuramente guidata dalla tecnologia, la mia sensazione è che sia comunque necessaria la presenza “umana” per trasferire l’output al cliente (argomentandolo e coinvolgendolo).
Stessa cosa per la fase di reporting. Indubbiamente i clienti oggi vogliono e devono poter controllare in autonomia la propria posizione patrimoniale, ma un corretto monitoraggio richiede la capacità di interpretare quei numeri, non solo di andare a consultarli.
Per cui anche in questo caso il contributo del consulente lo vedo importante. 

Insomma, che sia a supporto delle fasi di “marketing” o della fase di “costruzione del portafoglio” oggi non sarebbe davvero possibile fare a meno della tecnologia ma, allo stesso modo, credo siamo ancora lontani dal rischio di poter fare a meno delle persone.  Per fortuna, aggiungo.

FT: Abbiamo visto che nel periodo del lockdown hai fatto partire un “side project” Onebookonepage, ci puoi raccontare come ti è venuta in mente l’idea? 

Si tratta di un mio progetto personale che nasce dalla mia pratica sistematica di evidenziare e appuntare i concetti chiave delle mie letture in materia economico-finanziaria, di management & leadership, marketing, vendite, produttività, psicologia e comunicazione… il tutto per una più rapida consultazione all’occorrenza. 

Da anni ho infatti sviluppato un personale modo di “annotare” i libri che leggo e una volta terminata la lettura mi impongo di realizzare queste schede (che nascono con un banale foglio A4 scritto a penna!).
Durante il lockdown, forse anche per la criticità della situazione in cui eravamo tutti costretti, sentivo la voglia di “donare” qualcosa agli altri. Ho quindi pensato di condividere questo archivio con i miei contatti e con chiunque avesse piacere di goderne per questo l’ho messo a disposizione sul mio profilo linkedin.

Lungi da me scoraggiare la lettura integrale dei libri in questione o sostituirmi alle autorevoli penne che li hanno scritti: si tratta piuttosto della volontà di condividere, in puro spirito “giver”, degli spunti che ho trovato interessanti per me con l’augurio che possano esserlo per altri.

Oggi il progetto ha raggiunto il decimo episodio, con alcune centinaia di migliaia di visualizzazioni e parecchie attestazioni di interesse da consulenti e wealth manager di ogni parte d’Italia.

FT: La particolarità del tuo progetto sta soprattutto nell’affrontare le tematiche dei libri che leggi declinate al mondo finanziario, ci domandiamo quindi come sta influenzando il tuo lavoro? Ti ha aiutato a rimanere vicino alla rete? 

All’inizio proponevo solo la scheda del libro.
Poi qualcuno mi ha suggerito di aggiungere il mio punto di vista, chiedendomi di condividere come pensavo che questi libri potessero essere utili ai consulenti finanziari. 

Ho quindi aggiunto un’ulteriore pagina in cui -il più delle volte- condivido degli spunti raccolti dalle best practice dei colleghi con cui ho la fortuna di lavorare ogni giorno in Azimut.

È dunque diventato un ulteriore esercizio per me, che mi obbliga a mettere a fuoco degli spunti pratici per l’attività dei colleghi, ma mi sta anche aiutando a “catalogare” molte di queste best practice.

In merito alla vicinanza alla rete: OneBookOnePage è stata un’ulteriore occasione per confrontarmi con i colleghi: mi chiamano per discuterne, per confrontarsi su qualcosa che potrebbero fare loro stessi in prima persona. 

In fin dei conti era proprio questa la motivazione iniziale con cui avevo lanciato il progetto; la speranza di poter essere di stimolo.

Mi ha fatto poi particolarmente piacere riscontrare che i feedback positivi e le richieste di confronto su questi temi non arrivano solo da colleghi della mia società, ma anche da consulenti che lavorano per altre realtà. È un terreno comune su cui confrontarsi, indipendentemente dalla maglia che si indossa, con il fine di migliorare la nostra professionalità.

FT: Infine vorremmo chiederti cosa consiglieresti a un ragazzo che sogna di entrare nel mondo della consulenza finanziaria, quale skill secondo te dovrebbe sviluppare? 


Ci sono due elementi che, a parità di condizioni, credo possano fare la differenza per il successo professionale nel mondo della consulenza finanziaria:

  • Le soft skills relazionali: sono sempre più convinto che elementi empatici e di relazione siano sempre meno “soft skills” e sempre più una pietra angolare della professione.
    Non sto parlando della capacità di “essere commerciale” o “vendere”, sto parlando della capacità di allinearsi e sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda dei clienti. Gestirne il patrimonio non è solo individuare il prodotto giusto/migliore, ma piuttosto accompagnare i clienti lungo un percorso durante il quale la fiducia e l’empatia sono fondamentali.
    Ricollegandomi a quanto affermato prima ci sono già e ci saranno sempre di più computer in grado di realizzare un portafoglio (almeno in teoria) migliore di quello che potremmo strutturare noi consulenti, ma non c’è nessun computer -ad oggi- in grado di far “aprire” un cliente nel raccontare i propri obiettivi, sogni, paure.. perché ciò succeda serve una cosa che si chiama empatia e le cosiddette “soft skills relazionali” sono il modo per svilupparla ed affinarla.
  • Competenze tecniche specialistiche. Il tempo dei “generalisti” è finito. Se è vero che la maggior parte delle società di consulenza finanziaria oggi offrono team di specialisti in grado di affiancare un consulente su specifiche esigenze, è anche vero che identificare la propria nicchia e diventarne in prima persona degli esperti ci consente di creare il nostro “oceano blu”.
    Accanto quindi alle competenze relazionali e ad un’ottima conoscenza “generale” degli ambiti necessari per svolgere la professione, credo sia fondamentale individuate una nicchia e specializzarsi in essa. Sarà la porta di ingresso verso il successo professionale.

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