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I 5 TREND FINTECH DEL 2021 SECONDO FINTECH TITANS

Non potevamo che iniziare il nuovo anno parlando dei trend fintech del 2021

Si parla da diversi anni di fintech e nel 2020 la “finanza tecnologica” ha dato prova che, quello che era solo un settore ad alto potenziale, ha mostrato il suo vero valore.

Quest’anno, che come sappiamo ci ha distanziato fisicamente, ha fatto emergere necessità di soluzioni tecnologiche applicate a un mondo finanziario storicamente reticente al cambiamento. 

É arrivato quindi il momento di tirare le somme e condividere quelli che secondo noi si prospettano essere i 5 trend fintech nel 2021.

1) Trend Fintech 2021: L’ascesa dei sistemi di pagamento

Gli acquisti on line sono diventati ormai la prassi e il 2020 ha fatto esplodere esponenzialmente il settore, contactless e QR code rappresentano il futuro dei pagamenti.

Nota di merito è la chiusura di un round da 93 milioni di Euro in novembre da parte di Satispay (società italiana), al quale hanno partecipato Square inc e Tencent

Altra prova del fatto che si tratti di un settore in forte crescita, se ne servissero ancora, è il fatto che aziende come Enel X hanno iniziato ad investire in questa verticale per sviluppare il proprio sistema di pagamento. 

2) Digital lending e big data (lending as a service)

Per le banche diventerà sempre più importante conoscere il modo in cui si comporta un’impresa per poter erogare meglio e in maniera puntuale il credito.

Conoscere i trascorsi di un’impresa in termini di cash flow sarà la chiave per l’erogazione del credito.

A questo proposito diventano fondamentali i big data e l’integrazione portata dall’open banking tramite le API di piattaforme che si occuperanno di quest’attività. Seguiranno il percorso delle imprese per capirne l’andamento ed evitare il rischio di default e non pagamento del debito.   

3) Investimenti in Deeptech

Deeptech è un termine che raccoglie diverse e varie tecnologie che saranno rivoluzionarie in ambito fintech, tra le tante citiamo: 

  • L’intelligenza artificiale, che applicata alla finanza potrebbe portare all’eliminazione degli errori nelle procedure bancarie. Nell’Insurtech, ad esempio, grazie all’ausilio dei Big Data nell’elaborazione delle informazioni si potranno ridurre gli errori nelle previsioni di rischio, con un notevole vantaggio in termini di costi del premio per il cliente finale. 
  • La blockchain applicata in ambito pagamenti per rendere le transazioni sempre più sicure e trasparenti, con un miglioramento della tracciabilità dei movimenti di denaro attraverso conti e wallet.

Ad oggi la culla del deeptech si trova in Israele, basta infatti osservare la mappa Deeptech dell’ecosistema israeliano per constatare l’esistenza di oltre 150 realtà.

4) Luci puntate sul Regtech

Il Regtech coincide con l’impiego da parte delle aziende di strumenti tecnologici a supporto delle procedure di adeguamento, conformità e rispetto di norme e regolamenti.

A tal proposito ricorderemo come già nel 2015 il Regtech sia stato identificato, per la prima volta, dal regolatore inglese FCA (Financial Conduct Authority) come:

“Un sottoinsieme del fintech che si concentra su tecnologie che possono facilitare l’erogazione di requisiti normativi in modo più efficiente ed efficace di quanto già succeda”.

In un mondo come quello della finanza, fatto di regole e oggi più che mai di tecnologia, il Regtech non può che essere un trend che crescerà in parallelo. 

5. Trend Fintech 2021: Wealthtech

Può uno dei settori più human intensive del mercato dare spazio alla tecnologia? Secondo noi, e non solo, si.

Questo non vuol dire che l’uomo verrà soppiantato dalla tecnologia, ma più che altro aiutato nella gestione degli investimenti. 

La tecnologia che più si sta facendo notare è il robo advisory. Per citare un dato su tutti: le masse gestite da robo-advisory hanno fatto registrare un x 2.5 dal 2018 ad oggi. 

Per le società di wealth management significa una riduzione significativa dei costi di commissione. Una variable sempre più sotto la lente d’ingrandimento da parte delle generazioni millennials, futuri detentori di capitali.

Ricordiamo che in Italia il trend ha visto la nascita di due società che si occupano di questo: Moneyfarm e Euclidea.  

Conclusioni

Per concludere vorremmo lasciarci con un auspicio. Si è parlato tanto di fintech in questi ultimi anni ma non si erano mai realmente palesate le necessità e i problemi che possono essere rispettivamente soddisfatte e risolte dal fintech.

Tra le grandi sfide del settore la collaborazione tra fintech e banche, ma soprattutto la collaborazione tra i player del mercato finanziario attraverso la creazione di consorzi fintech e grazie al lavoro delle associazioni.

Solo remando nella stessa direzione sarà possibile spingere il settore in una fase successiva e sicuramente più matura. 

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10 CONSIGLI AI GIOVANI DA 10 FINTECH EXECUTIVES

Durante il 2020 abbiamo intervistato decine di professionisti del settore Fintech in Italia. Ad ognungo di loro abbiamo rivolto la stessa domanda sotto forma di consiglio per i più giovani.

La domanda corrisponde ad un quesito che spesso ci viene posto da parte dei neolaureati che non sanno come avvicinarsi al mondo della finanza, oggi più che mai è contaminato dalla tecnologia: 

“Ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?”

Queste sono le risposte dalle 10 interviste più lette del 2020:

ADRIANO GERARDELLI, DIRECTOR AT PWC ITALY

Fintech e corporation, essendo realtà integrate e non solo complementari, risentono ognuna dell’influenza reciproca dell’altra, condizionandosi a vicenda ed evolvendosi nel continuo. Pertanto, l’ingresso di un giovane laureato nella prima o nella seconda, in nessun caso precluderebbe di attingere agli stimoli ed impulsi offerti dall’altra, in virtù della relazione fluida esistente tra le due. È tuttavia innegabile che entrambe le realtà offrano esperienze formative basate sul core-business e sulla struttura che le caratterizzano: lavorare in un’azienda di grandi dimensioni permette da subito di comprendere le principali dinamiche che la governano ed il settore in cui opera, acquisendo una visione macro del mercato di appartenenza. Allo stesso modo, il settore del Fintech, caratterizzato da estrema dinamicità e continua evoluzione, può risultare tanto accattivante quanto formativo per i giovani, offrendo loro la possibilità di approfondire ambiti legati all’innovazione e alla trasformazione digitale, in linea con il trend attuale e che, da ultimo, costituiranno i capisaldi dell’evoluzione del mercato nei prossimi anni.

ANTONIO LA MURA, COUNTRY MANAGER ITALY AT FINOM

Più che l’azienda, quel che mi sentirei di suggerire è lavorare all’interno di un progetto nuovo e sfidante, e in linea con le proprie ambizioni. Nel mercato ci sono aziende di pochi mesi che sono gestite con processi iper strutturati e realtà con più di 100 anni che hanno invece ancora la stessa agilità e ambizione di una startup. Per questo motivo suggerirei di concentrarsi più sul lavoro che si andrà davvero a fare, sulle persone con le quali si andrà a collaborare, a quanto si può imparare e sull’impatto che questo progetto può avere sulla propria crescita personale.

Che il tuo lavoro sia in una startup o in una corporation, per poter avere successo hai bisogno di coraggio, curiosità e resilienza. Se trovi il progetto giusto e convincente, allora sarà quella la scelta migliore.

CARLO GUALANDRI, FOUNDER E CEO DI SOLDO

Dipende totalmente dalla qualità dell’opportunità e dell’esperienza che può fare. Un ragazzo dovrebbe sempre ragionare su come investire per imparare di più e aumentare il proprio valore, soprattutto quando è giovane e non ha ancora vincoli. 

Le possibilità migliori potrebbero venire sia dal mondo fintech che dal mondo della finanza classica ma la valutazione deve essere fatta in modo molto oggettivo.

FAUSTO MAGLIA, CHIEF PRODUCT OFFICER DI CASAVO

Limito la riflessione a chi, come me, ha sempre avuto una passione per il mondo tech senza però voler essere uno sviluppatore. Nel mio caso, l’interesse per il business era troppo forte per dedicarmi totalmente allo sviluppo software, anche se sono stato tentato.

Il consiglio principale è di leggere ciò che offre la letteratura: Clayton M. Christensen, Nir Eyal, Eric Ries, Marty Cagan e gli autori di “Play Bigger” sono i primi nomi che suggerirei. Consiglio poi, se non si ha la possibilità di seguire un percorso di carriera chiaro (non ci sono molte Google o Netflix qui da noi), di attivare dei side project per poter fare esperienza, e di fare magari un’esperienza all’estero nei grandi hub di innovazione digitale (Londra, Berlino, Amsterdam, Parigi ma recentemente anche Barcellona).

Il consiglio principale però è di non lasciarsi troppo affascinare da chi racconta le storie “romanzate” di startup di successo, perché si rischia di unirsi alla schiera di storyteller che l’innovazione la narrano soltanto. Come tutti gli altri percorsi anche quello nel mondo tech è in salita ed estremamente serio, e c’è bisogno di persone che abbiano voglia di apprendere, essere visionarie, ma che poi sappiano concretizzare tutto con razionalità.

FEDERICO ROESLER FRANZ, COUNTRY MANAGER ITALY AT RAISIN

Questo dipende dagli obiettivi personali, ma avere esperienza da entrambe le parti – in una startup o in un’azienda più tradizionale – è enormemente utile per comprendere le diverse esigenze, risorse e culture delle aziende più grandi e più vecchie rispetto a quelle più nuove e più agili. Chi lascia gli studi può anche notare che l’una o l’altra cultura si adatta meglio alla propria personalità: le startup fintech hanno spesso gerarchie flat e processi più semplici, e lavorare in una di esse può significare aiutare a costruire l’azienda dalle fondamenta e pensare fuori dagli schemi. Allo stesso tempo, lavorare in una grande azienda può significare imparare come un’azienda già di successo fa le cose, acquisendo esperienza con processi e strutture di team molto più complessi. 

FEDERICO SFORZA, CEO & CO-FOUNDER AT AIDEXA

Assolutamente si, soprattutto se il talento ha voglia di affermarsi e di far accadere le cose. Negli ultimi mesi abbiamo attratto tra gli AideXer diversi talenti giovanissimi, provenienti direttamente dal mondo universitario: il valore che stanno contribuendo è sorprendente. Da un lato, le opportunità che hanno di crescere in un’organizzazione “flat” come la nostra, dove c’è tantissimo da fare e la responsabilità è “di chi se la prende” sono infinite. Dall’altro, possono essere giornalmente affiancati da competenze ed esperienza, sia nel mondo tecnologico che nel mondo bancario, che le supportano al momento del bisogno nella crescita, che avviene in modo accelerato. Ancora più importante: siamo persone prima di azienda, che hanno condiviso valori forti come l’imprenditorialità, l’innovazione, la velocità, la passione e l’entusiasmo. In questo ambiente, il talento può crescere, svilupparsi e “shape the future” immediatamente, anche del paese.

MARCO MASOTTO,  HEAD OF SECURITISATION PLATFORM AT CARDO AI

Le grandi corporation offrono senz’altro dei percorsi di inserimento e crescita strutturati con delle esperienze di apprendimento definite che permettono di crearsi delle conoscenze specifiche molto solide ed in tempi brevi. In una start-up invece bisogna costruirsi il proprio percorso mentre si costruisce l’azienda e non è cosa per tutti. Lavorare in un ambiente poco strutturato, anche se ha degli svantaggi, ti porta a dover prendere decisioni in ogni momento (con le conseguenti responsabilità) ma allo stesso ti mette in “presa diretta” con il risultato del tuo lavoro.

Se si è pronti ad accettare le sfide, impegnarsi a fondo per migliorare il prodotto e se stessi, le start-up offrono opportunità uniche per imparare cosa serve a realizzare qualcosa. 

Bisogna però stare attenti a scegliere dei progetti credibili portati avanti da team solidi, che siano in grado di mettere insieme vision ed execution, avendo allo stesso tempo la capacità di trasmettere valori e competenze ai propri collaboratori. 

NICCOLÒ PRAVETTONI, COUNTRY MANAGER ITALY AT CROWDESTATE

Sono convinto che entrambe possano essere delle esperienze molto formative. La grande azienda insegna ad avere un metodo di lavoro strutturato e a seguire dei processi ben definiti. Dall’altra parte, lavorare in una startup fintech, è molto diverso. Gli obiettivi possono cambiare anche a distanza di giorni ed è necessario riuscire ad adattarsi velocemente al cambiamento. Ci sono però grandi opportunità di crescita e di fare la differenza sin da subito. Per un giovane che si affaccia al mondo del lavoro credo possa essere un’opportunità molto stimolante! 

ROMI FUKE, FONDATORE DI IN-LIRE

Il mio consiglio è di maturare prima delle esperienze nella finanza classica anche attraverso  ruoli specifici all’interno delle imprese. Bisogna capire le dinamiche economico finanziarie reali e quindi le necessità del mercato, per avere l’intuizione realmente di successo. Molte idee purtroppo hanno poca aderenza con la realtà. Inoltre non basta la buona idea per lanciare una nuova impresa, spesso chi ha le idee non ha capacità imprenditoriale. Lo vediamo anche nel nostro settore con modelli che bruciano continuamente cassa.

STEFANO ROSSI, COUNTRY MANAGER DI LITA.CO ITALIA

Potendo scegliere, suggerirei ad un neolaureato di cominciare la propria carriera in un’azienda strutturata che possa permettersi di investire nella formazione dei propri dipendenti. Avrebbe l’opportunità di crescere in un ambiente protetto, imparando dai propri superiori e confrontandosi con i colleghi. Lavorare in una startup è una splendida opportunità di vita che consiglio a tutti ma che richiede, da subito, un elevato grado di autonomia ed una buona base di competenze consolidate.

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GIUSEPPE SCAPOLA, HEAD OF BUSINESS DEVELOPMENT AT CRIPTALIA

FT: Partiamo dal tuo percorso, da informatico a business developer nel fintech, spiegaci come ci sei arrivato.

Come avete riportato, arrivo dal mondo IT in cui ho operato per molti anni, ma ho sempre guardato al mondo degli investimenti, e negli ultimi quasi 4 anni ho investito in maniera “intensa” nel nuovo mondo del P2P: opportunità unica permessa anche dall’utilizzo intelligente delle tecnologie per democratizzare l’accesso e abbassare le soglie di ingresso negli investimenti.

Da tempo racconto le mie attività e il mio percorso, proprio per evitare che gente commetta i miei errori, e lo faccio sui miei canali social, Sito e Canale Telegram, dove una folta community si aiuta a vicenda. Ed è proprio questa mia passione che mi ha portato ad entrare in Criptalia come Head Of Business Development. Ed è forse la prospettiva migliore: lavorare nel mondo che ti piace.

FT: Uno dei tuoi cavalli di battaglia è stato l’evento P2PHeroes nel 2020, dove hai riunito sullo stesso palco diverse piattaforme, quanto credi sia importante nel mondo degli investimenti online farsi conoscere offline?

Confermo, il P2PHeroes è stato un evento creato in pochi mesi, ma di grandissimo successo. Ha riunito le maggiori piattaforme di Crowdfunding nel primo e unico Evento Italiano a tema. Le persone erano ansiose di incontrare dal vivo i CEO e i rappresentanti delle piattaforme in cui investivano i loro soldi e si, ritengo sia molto importante incontrarsi dal vivo, vedere faccia a faccia chi c’è dietro e chi ci lavora. Solo così si può ingenerare un vero rapporto di fiducia. Purtroppo adesso gli eventi sono rimandati a data incerta: ma abbiamo compensato con varie iniziative, come i webinar o altre sessioni Q&A agevolate dalla Community.

FT: Raccontaci di Criptalia, che servizi che offrite e a chi vi rivolgete?

Criptalia è una Società regolamentata fondata dal CEO Diego Dal Cero nel 2018, che permette l’incontro della domanda di accesso a forme di finanziamento alternative al sistema bancario. 

Siamo una Società pienamente Fintech e ci collochiamo nell’area del CrowdLending dando la possibilità al piccolo e medio investitore di poter finanziare Progetti che poi impattano davvero nell’economia Reale, su Startup e PMI.

Siamo fieri di generare, inoltre, con gli interessi ricevuti dagli investitori, un vero e proprio Circolo Virtuoso che molto spesso impatta sulle Società direttamente finanziate sulla nostra piattaforma: alcune delle Imprese, infatti, vendono prodotti reali e Made in Italy che interessano direttamente alla nostra platea, ormai composta da migliaia di iscritti alla Piattaforma di Criptalia.

Vi chiederete, perché FinTech? Semplice, perché abbiamo deciso di affiancare la Blockchain a tutte le altre tecnologie utilizzate per creare lo strato tecnologico di Criptalia nei due anni passati. La Blockchain permette la tokenizzazione degli investimenti intestati ai singoli investitori in modo che siano scritti in maniera immutabile, registrati e visibili.

FT: Data la tua esperienza nel p2p lending come pensi evolverà il mercato italiano da qui a un anno?

La mia speranza è che l’evoluzione del mercato sia compatta e che porti beneficio a tutte le piattaforme, in un’ottica di cooperazione e non di strenua competizione. Le mie previsioni, nel dettaglio, immaginano la non sopravvivenza di piattaforme che non sono entrate nel settore in maniera diffusa, e potrebbero essere fagocitate da altre più grandi. E spero in uno spostamento della liquidità dei conti degli italiani, che si aggira sui 2 mila miliardi, verso un modo di investire veramente innovativo. E che possa premiarei il lavoro di gente che crede davvero che il Sistema possa cambiare.

FT: Ti facciamo un’ultima domanda con la speranza che possa essere di aiuto alla community di FT, ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation? 

Io, che ho alle spalle ormai più di un decennio di esperienza lavorativa, mi sento di consigliare di iniziare il percorso lavorativo in una startup fintech se si ha già un punto di partenza personale già strutturato e organizzato, così da entrare in una realtà frizzante e magmatica sin da subito e con delle solide basi. La grande corporation permette di interfacciarti con dinamiche operative che possono servire ad una formazione di partenza utile per il prosieguo lavorativo in tutti i campi.

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INTERVISTA ALL’AVVOCATO GIOVANNI CUCCHIARATO SUL CROWDINVESTING

In questi giorni è stato pubblicato il 5° Report Italiano sul CrowdInvesting, abbiamo chiesto all’avvocato Giovanni Cucchiarato di commentare i risultati emersi.

FT: Siamo arrivati al 5° Report Italiano sul CrowdInvesting, si aspettava una crescita simile quando è stata pubblicata la prima versione della ricerca?

GC: È una domanda a cui non è facile rispondere. 

Nell’estate 2016, quando l’Osservatorio sul Crowdinvesting del Politecnico di Milano, brillantemente guidato dal Prof. Giancarlo Giudici, ebbe la felice intuizione di fare una prima “fotografia” del mondo del crowdinvesting in Italia, il contesto regolamentare era profondamente diverso rispetto a quello attuale e non si poteva immaginare quale sarebbe stata la sua evoluzione ed il relativo impatto sulla crescita del settore. 

Per quanto riguarda il lending crowdfunding, ad esempio, non erano ancora state emanate le “Disposizioni” di Banca d’Italia sul “social lending”, che (pur in assenza di una normativa ad hoc) hanno fornito alcune linee guida agli operatori sull’esercizio di tale attività. 

Per non parlare dell’equity crowdfunding, che all’epoca era ancora riservato alle start-up innovative, mentre dal 2017 la possibilità di utilizzare tale strumento di finanza alternativa è stata estesa a tutte le piccole e medie imprese (cd. PMI, che in Italia rappresentano una vasta platea di aziende), a prescindere dalla loro “innovatività”, rendendo così possibile, ad esempio, la nascita del real estate equity crowdfunding. Sempre con riferimento all’equity crowdfunding, sono state recentemente introdotte altre importanti novità, in primis la possibilità di sottoscrivere tramite i portali autorizzati non solo strumenti di equity, ma anche (a determinate condizioni e per determinate categorie di investitori) strumenti di debito (bond) emessi da PMI.

Per tornare ora alla Sua domanda, se nel 2016 avessi saputo come si sarebbe evoluta la normativa nei quattro anni successivi, forse mi sarei aspettato una crescita ancora maggiore (quanto meno in termini di volumi). Vi sono infatti a mio avviso alcune novità introdotte a livello regolamentare – soprattutto con riferimento all’equity crowdfunding – che (almeno per ora) non hanno ancora espresso tutto il loro potenziale.

FT: Rispetto agli anni precedenti cosa stupisce di più di questo nuovo report? Quanto ha impattato lo stop del lockdown?

GC: In termini generali i dati dell’ultimo anno raccolti nel report confermano un trend di crescita del settore che non mi stupisce più di tanto. Personalmente mi aspettavo forse un maggiore incremento di campagne di equity crowdfunding effettuate da PMI “tradizionali” (rispetto alle start-up innovative, che continuano a fare la parte del leone), e un primo “avvicinamento” da parte degli organismi di investimento collettivo del risparmio, ancora restii ad utilizzare questo nuovo strumento di raccolta del risparmio.

Per quanto riguarda la crisi legata al Covid-19, dai numeri del report emerge come il settore non ne sia stato impattato, il che a mio avviso non deve stupire, dal momento che le aziende hanno avuto probabilmente modo di scoprire ed apprezzare alcune caratteristiche del crowdinvesting, come ad esempio la rapidità nell’erogazione della liquidità, che lo differenzia (in positivo) rispetto alle tempistiche tipiche dei canali tradizionali come quello bancario.

FT: Quale tra le diverse forme di crowdinvesting ha le maggiori prospettive di crescita nel 2021?

GC: In termini percentuali credo che l’equity crowdfunding potrà crescere di più rispetto al lending (che resterà in ogni caso ampiamente davanti in termini di volumi), però solo se verranno sfruttati al meglio i vantaggi derivanti dalle novità regolamentari introdotte negli ultimi anni e gli operatori più “tradizionali” (come ad esempio gli OICR) sapranno coglierne le opportunità. 

FT: Ragionando invece a livello europeo cosa rende più competitiva l’Italia per una società fintech che gestisce un portale di crowdinvesting e cosa la rende meno competitiva?

GC: A mio avviso il quadro normativo che abbiamo in Italia sul crowdinvesting è una buona base di partenza e, se verranno implementate alcune novità regolamentari in fase di definizione (come il decreto attuativo della “sandbox” regolamentare sul fintech), può facilitare l’attrazione di operatori stranieri nel nostro paese. Un altro elemento che rende il nostro Paese competitivo è la grande quantità di risparmi delle famiglie, che vengono spesso lasciati “parcheggiati” sui conti correnti bancari e che rappresentano una massa molto rilevante di potenziali investitori per i gestori dei portali di crowdinvesting. 

I fattori che rendono meno competitiva l’Italia rispetto ad altri paesi europei sono rappresentati dai nostri difetti “endemici”, quali ad esempio la persistente eccessiva burocratizzazione della pubblica amministrazione, che rende difficile fare impresa nel nostro Paese, oltre che, per andare più nello specifico del settore del crowdinvesting, la scarsa educazione finanziaria di noi italiani, più volte posta in evidenza anche da Consob e Banca d’Italia.

FT: Cosa serve quindi all’Italia per attirare la prossima fintech unicorno? O cosa gli manca per non farsela scappare?

GC: Un (vero) cambio di mentalità, che porti ad una riforma generale della pubblica amministrazione, tramite la digitalizzazione e la semplificazione, nel rispetto del principio di proporzionalità, dei processi amministrativi ed autorizzativi.

FT: Consiglierebbe a un ragazzo di entrare nel mondo fintech o prima lavorare nel settore della finanza classica?

GC: Iniziare con un’esperienza presso un operatore “tradizionale” è sicuramente utile, anche se credo che le due cose non siano per forza in contraddizione tra loro. Lavorare nel mondo fintech non è altro che operare nei settori tipici dei mercati finanziari tradizionali, ma tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie.

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#EUROPEDAY SECONDO 10 INNOVATORI ITALIANI

Il nostro primo articolo di redazione, un lavoro corale di tutto il gruppo Fintech Titans, è dedicato al 9 Maggio, la Festa dell’Europa.

Non poteva essere altrimenti visto che geograficamente ci troviamo in Italia, Spagna e Irlanda, più precisamente, Milano, Madrid e Dublino, comunichiamo quindi ogni giorno grazie alla tecnologia di Whatsapp e condividiamo i nostri articoli su Google Drive.

Per questa speciale ricorrenza volevamo limitarci nello scrivere per rendere protagonisti un gruppo di stimati amici e colleghi che lavorano nel mondo dell’innovazione.

C’è chi ha fondato startup di successo dall’Italia per espandersi in Europa e chi lavora per società internazionali e si confronta ogni giorno con l’eterogeneità delle culture, 10 punti di vista completamente diversi che ci fa piacere aver raccolto in questo articolo per celebrare questa giornata così speciale. Buona lettura e buona Festa dell’Europa!

Stefania Barbato – Innovation Expert

Avendo vissuto il passaggio da Lira a Euro per me il mercato europeo ha rappresentato una grande conquista raggiunta.

Lavorando nell’innovazione, la consapevolezza di un’Europa senza confini è sempre stato sinonimo di contaminazione: poter conoscere persone e viaggiare in Italia così come in Francia o in Spagna per acquisire più conoscenze. E che le idee migliori siano quelle di business scalabili che si sanno poi adattare ai vari contesti nazionali.

Francesca Bartolino – Senior Marketing Specialist di N26

Lavorare per una societá fintech europea oggi ha ancora più valore rispetto al passato. Quando si pensa ai colossi del tech, ma anche alle startup diventate scaleup multinazionali, è inevitabile immaginare scenari che appartengono piú alla Silicon Valley, che al contesto europeo. Il successo di N26, invece, dimostra in modo tangibile che è possibile fare innovazione anche in Europa e addirittura portare questa spinta innovativa in US, dove N26 ha lanciato i propri servizi nel luglio 2019 ed é diventata in pochi mesi una delle challenger bank più utilizzate oltreoceano”.

Giovanni Buono – Co-Founder di Fundsfy

Pensavo che il fintech sarebbe passato di moda in fretta ma il mondo post-covid e l’impatto economico causerà una iper-digitalizzazione dei processi e soluzioni sia nella finanza  per le aziende che nella nostra vita quotidiana. Nella nuova realtà tutto quello che aiuta ad essere cashless, paperless and istantaneo avrà un curva di adozione impennata nei prossimi mesi. Aziende ed app che offrono ad esempio instant-loans, e penso ad alcune fintech italiane che hanno già siglato accordi con il governo per usare i loro processi e canali digitali per erogare i prestiti a supporto delle pmi in difficoltà o in Germania dove lo scorso aprile una azienda leader del settore real estate ha lanciato la sua piattaforma digitale per “liquidare” la tua casa, ovvero ricevere un prestito quasi immediato garantendolo con una percentuale del tuo patrimonio immobiliare. Anche il wealthtech, ovvero la soluzioni tech per gestire il proprio patrimonio, quello dei clienti, o rendere la vita facile ai consulenti finanziari ha visto un’esplosione con soluzioni 360 che permettono in questo periodo complesso analizzare rischi e prendere decisione tempestive grazie soprattutto agli ormai noti e onnipresenti big data.

Matteo Concas – Co-founder di Penta

Europa per me significa far parte di un movimento che mette la diversità al centro del processo di creazione di una una società migliore.

Una diversità che non riguarda solo il relazionarsi con le altre persone, ma con noi stessi, come forma di arricchimento di quei valori e punti di forza che ognuno sviluppa lungo l’arco della propria vita.

Più ti esponi alle diversità degli altri è più sarà facile riuscire nell’intento di creare il vero te stesso e trovare un proposito nella vita senza per forza dover far riferimento a quello che invece ti è stato inculcato dalla nascita.

Alberto Dalmasso co-founder e CEO di Satispay

Satispay è nata con l’idea di essere una società europea, con l’obiettivo di diventare l’app finanziaria più utilizzata nel Continente. La forza con cui iniziamo a presentarci proprio in questi giorni in Europa, prima in Lussemburgo e poi in Germania, è l’esperienza di una crescita importante in un Paese come l’Italia che già è caratterizzata da diversità di approccio regionale importanti. Nelle regioni del Nord vinciamo perché c’è predisposizione ai pagamenti elettronici e il traino forte sono i consumatori, curiosi verso un servizio che semplifica realmente la vita, in quelle del Sud siamo maggiormente percepiti come unica vera alternativa alle carte, e driver di crescita sono più i negozi alla ricerca di soluzioni convenienti e trasparenti che diano supporto all’attività. Abbiamo studiato soluzioni che rispondono alle esigenze dei consumatori italiani, tutte cose tipiche di questo Paese che molto difficilmente verranno sviluppate con questa cura da parte di grandi colossi internazionali.

Ci siamo allenati così all’internazionalizzazione, che affrontiamo con un approccio locale molto forte. Per vincere nella sfida dei pagamenti frequenti, dei pagamenti di tutti i giorni, per diventare un’abitudine servono delle logiche domestiche. La grande e affascinante sfida per noi sarà di replicare la capacità di risposta alle esigenze nazionali in più Paesi a livello europeo per aggredire questo mercato unico, che però è ancora una serie di Paesi con caratteristiche simili ma anche diverse.

Elena Lavezzi – Head of Southern Europe di Revolut 

Negli ultimi anni l’Europa sta assistendo all’aumento del numero di aziende, di capitali e di talenti in ambito tech. Parallelamente, rispetto alla Silicon Valley, si sta distinguendo in ambito Fintech con alcune tra le scale-up più promettenti al mondo. Lavorare nel mercato europeo è però molto sfidante perchè a differenza di altri, è composto da una realtá frammentata con peculiarità locali spesso molto diverse tra loro in termini di educazione finanziaria, regolamentazione e aspetti socio-culturali, che non sono da sottovalutare. Per questo, poter investire localmente con dei team dedicati che abbiano la giusta esperienza può fare la differenza in maniera sostanziale. 

Giulia Pastorella – Global Strategy Program di HP

Sono rimasta affascinata di come la Corporate Culture dell’azienda americana per cui lavoro venga declinata nei diversi uffici presenti nei vari paesi europei. La meravigliosa diversitá della nostra Unione si materializza nelle piccole particolaritá locali, dalla scelta del mobilio a quella dell’intrattenimento in ufficio – senza dimenticare la mensa. E tra un commento scherzoso sull’accento dell’uno o i gusti culinari dell’altro, in realtá si lavora splendidamente assieme e ci si scopre ogni giorno. La diversitá fa la forza, in questo caso!

Aldo V. Pecora – giornalista, vip speaker, Top Fintech Influencer italiano secondo ABI 

Nonostante anagraficamente appartenga alla prima vera generazione di cittadini europei (ovvero quelli cresciuti dopo la caduta del muro di Berlino), vedo l’Europa come un ideale romantico ancora da raggiungere. Certo, è oramai un’organizzazione politica ed amministrativa con le sue regole, una sua moneta ed il suo mercato più o meno unico. Ma quello che era il sogno europeo, purtroppo, sta attraversando una crisi profonda. 

Abbiamo alle porte una stagione che si annuncia tragica per la ripresa economica e finanziaria dopo l’emergenza Covid-19, e quindi non abbiamo bisogno di mani invisibili, di nuovi Leviatani, di sgambetti tra questo o quel Paese europeo, bensì di iniziative volte a trattenere qui i nostri talenti, dando loro fiducia e tutti gli strumenti necessari perché competano dall’interno dell’Europa e non con l’Europa. 

In ultimo, so che vado off-topic, ma dopo aver citato la mano invisibile non posso non ricordare che il 9 maggio del 1978 un’altra mano, quella del terrorismo, uccideva il prof. Aldo Moro, ed un’altra ancora, quella mafiosa, uccideva il giornalista ed attivista antimafia siciliano Peppino Impastato. Il sogno europeo passa anche da esempi come loro.

Nicolò Pravettoni – Country Manager Crowdestate

Crowdestate è una società digitale che opera cross-country su 7 paesi Europei, adattando il proprio modello di business alle esigenze di ogni singola realtà. Essere una società Europea ci permette di crescere più velocemente e “scalare” il nostro business ad un numero di utenti molto più ampio. Il vantaggio è rilevante anche per i nostri utenti, che possono godere di una diversificazione ancora maggiore. Minori saranno le barriere in futuro e maggiori le opportunità per tutti.

Carlo Valentini, Marketing Manager in fintech, fashion-tech, higher education

Due anni fa un rappresentante italiano presso il parlamento dell’UE ha chiesto orientamenti per scrivere le regole europee per il crowdfunding. Erano interessati a come stavamo lavorando in quel momento, ma la nostra risposta fu un’altra. E userò quella risposta oggi, esprimendo un augurio.

Fintech per l’UE un’opportunità per progettare ciò che l’UE POTRÀ’ essere in futuro, non controllare come è oggi. Fintech ha trasformato il denaro in un nuovo tipo di informazione (prima l’informazione era preziosa come denaro): scorre liberamente, indifferente ai confini, e ora chiunque (più o meno) può creare nuovo denaro. Pensa alle criptovalute e alle monete alternative. Se controlli il flusso di denaro attraverso Fintech vedi che non siamo più italiani, francesi, tedeschi … Siamo europei. O addirittura solo cittadini di un unico mondo.

Solo i regolatori stanno ancora considerando la fintech come una questione nazionale: fintech è già come l’UE SARÀ: senza confini, agile, focalizzata sulle esigenze dei clienti (invece di cercare di dire ai clienti di cosa hanno bisogno), aperta.

È solo una questione di tempo e ben presto tutta la nostra società sarà come è il fintech oggi.

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DIGITAL CONTACT TRACING, COME FUNZIONA

Il digital contact tracing è la versione tecnologica del classico contact tracing usato da sempre come strumento per combattere le epidemie. L’obiettivo del contact tracing è individuare tutte le persone che sono venute in contatto con un paziente infetto. In questo modo possano essere messe in isolamento per evitare l’ulteriore diffusione del virus e testati per scoprire se sono stati infettati. 

Il tracciamento dei contatti in maniera classica prevede di chiedere al paziente di indicare tutte le persone venute a stretto contatto nelle precedenti due settimane. Questo metodo però ha un’efficacia limitata in quanto il paziente potrebbe aver avuto contatti con persone che non conosce o che non ricorda.

Il contact tracing è molto più efficace se si utilizzano le tecnologie che abbiamo a disposizione oggi ed è qui che cominciamo a parlare di contact tracing digitale tramite app per cellulare. Questa strategia ha avuto un ruolo determinate nella gestione dell’emergenza pandemica in alcuni stati asiatici come la Corea Del Sud. L’approccio avuto da questi paesi è, però, difficilmente accettabile in Europa in quanto prevede forti compromessi per quanto riguarda la gestione della privacy.

In Corea, ad esempio, le autorità sanitarie e di polizia- possono avere accesso ai dati GPS del cellulare, carte di credito, viaggi e informazioni mediche delle persone infette o che hanno avuto contatti con infetti.

In occidente si sta pensando di adottare contact tracing app sul modello che stanno sviluppando Google e Apple insieme, il quale prevede di utilizzare solo i dati bluetooth. Lo stesso modello è stato adottato dall’app scelta dal governo Italiano, Immuni.

Come funzionano le app di contact tracing

Google e Apple stanno lavorando per mettere a disposizione delle API (Application Programming Interface), strumenti utilizzati dagli sviluppatori di software.

Questi sviluppatori consentano alle app appositamente sviluppate di identificare la distanza dagli altri cellulari utilizzando il segnale bluetooth, quindi escludendo il gps e non tracciando la posizione dell’utente.

Gli smartphone, sfruttando la tecnologia BLE (Bluetooth Low Energy), segnalano il proprio codice identificativo e ricevono i codici identificativi degli smartphone delle persone che sono che si trovano raggio di 1,5/2m per un tempo superiore ai 15 minuti. I codici sono memorizzati nel database locale dell’applicazione, tenendo così traccia di chi abbiamo incrociato. Per garantire la privacy degli utenti, i codici identificavi sono cifrati.

Fonte Corriere della Sera

Gli operatori sanitari, dopo aver identificato una persona positiva, caricheranno il suo codice identificativo sul server dell’applicazione. Funzionerà così l’app Immuni, si sincronizzerà col server per avere la lista delle persone infette costantemente aggiornata. Nel caso nella lista dei codici delle persone incontrate ci sia un codice appartenente alla lista degli infetti, l’utente sarà avvisato con una notifica e in questo modo potrà evitare di diffondere ulteriormente il contagio.

I dubbi sulla privacy

Le app di contact tracing portano con sé molti dubbi sulla gestione della privacy, soprattutto in quanto associate a dati sensibili come la propria salute. Sicuramente l’utilizzo della sola tecnologia bluetooth e la cifratura dei codici identificativi sono dei meccanismi che alzano il livello di privacy degli utenti. Inoltre, i creatori di Immuni hanno dichiarato che rilasceranno l’app con licenza open source. Questo aspetto è molto significativo in quanto garantisce una migliore trasparenza su come i dati vengono trattati all’interno dell’app.

È necessario, inoltre, che gli enti coinvolti si impegnino a eliminare il sistema e a cancellare tutti i dati alla fine dell’emergenza creata dal coronavirus.

Le app di contact tracing potrebbero giocare un ruolo determinante nella gestione della crisi sanitaria e nel favorire la graduale diminuzione delle restrizioni per tornare più velocemente alla normalità, minimizzando il rischio di una seconda ondata epidemica. Per il loro successo sarà fondamentale che ci sia un tasso di adozione elevato da parte dei cittadini. 

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ALLA SCOPERTA DEL CLOUD COMPUTING

Il cloud computing, o più semplicemente “Cloud”, è uno dei concetti chiave nell’ambito tecnologico odierno. Il Cloud nasce per fornire risorse informatiche remote attraverso internet. Un servizio di cloud computing è costituito da data center ottimizzati in grado di mettere a disposizione risorse hardware, software o servizi a clienti esterni. Si connetto e utilizzano le capacità di cui hanno bisogno e pagarle in base al consumo.

I PRINCIPALI VANTAGGI DEL CLOUD COMPUTING

I servizi cloud consentono alle aziende di evitare di spendere il proprio capitale in costruzione, sviluppo e manutenzione di datacenter interni. Garantiscono anche la massima flessibilità di utilizzo, potendo disporre, in maniera istantanea, di più potenza o di ridurla se non se ne ha più bisogno.

La flessibilità del cloud è una grande opportunità per nuove aziende o startup che hanno bisogno di entrare subito sul mercato e non hanno il tempo e le risorse per costruire autonomamente un’infrastruttura informatica.

Il cloud computing permette di avere accesso a una grande varietà di servizi tecnologici. Consente alle aziende di poter proporre soluzioni innovative molto più velocemente rispetto al passato e metterle a disposizione su scala globale.

Non di meno il cloud computing è di grande impatto anche su attività già avviate in quanto consente alle aziende di ridurre i costi della propria infrastruttura informatica.

Il carico su sposta sul cloud potendo così disporre dello stato dell’arte della tecnologia in maniera facile ed economica.

IL CLOUD AL TEMPO DEL CORONA VIRUS

Il cloud computing sta giocando un ruolo fondamentale nella crisi scatenata dal covid-19.

Molte aziende, utilizzando le risorse affidabili, scalabili e sicure messe a disposizione dai cloud provider, possono continuare a lavorare in sicurezza.

Pensiamo al ruolo che ha il cloud computing nell’assicurare le lezioni on line, nel supporto al remote working e alla capacità di calcolo garantita ai centri di ricerca. 

I servizi cloud sono essenziali anche nel supporto ai servizi di entertaining che stanno garantendo agli utenti, costretti a restare nelle proprie case.

Basti pensare alle piattaforme di streaming, di gaming on line o di e-learning che grazie alla scalabilità hanno saputo gestire un carico che è aumentato esponenzialmente rispetto a qualche mese fa.

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