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Orlando Merone, Country Manager Italy di Bitpanda

Intervista con Orlando Merone, Country Manager Italy di Bitpanda.

FT: Ci potresti raccontare il tuo percorso lavorativo e come sei arrivato al fintech?

OM: Ho iniziato nel 2014 e allora, in Italia, la parola “fintech” era ancora sconosciuta. Da imprenditore, volevo risolvere un problema molto concreto: permettere ai freelance di essere pagati in maniera facile e veloce tramite carta. Per questo ho creato un POS virtuale pay-by-link che permetteva a qualunque partita IVA in Europa di accettare pagamenti tramite carta, condividendo un semplice link. Ho scoperto che i giornali ci definivano una startup “fintech” soltanto dopo aver vinto una competizione in Italia. Anni dopo, quello che mi tiene ancorato a questo settore è proprio l’innovazione, lo stesso elemento che mi ha aiutato a prendere la decisione di entrare in Bitpanda.

FT: Raccontaci di Bitpanda e dei servizi che offrite

OM: Bitpanda è impegnata dal 2014 a rendere il mondo degli investimenti accessibili per chiunque ed oggi è una delle fintech a più rapida crescita in Europa, con oltre 3 milioni di utenti. All’inizio offriva solo Bitcoin e criptovalute, poi ha sviluppato ulteriormente la propria tecnologia e la propria offerta aggiungendo alla piattaforma altre asset class digitali, Prima i metalli preziosi e poi, come annunciato di recente, oltre 1000 azioni frazionate ed ETF grazie a Bitpanda Stocks. In questo modo, chiunque può investire cifre a partire da 1€. Si può accedere facilmente tramite telefono o computer, creando un account e verificandolo, per poi comprare, vendere e scambiare quasi ogni tipo di asset digitale. Inoltre Bitpanda mette a disposizione la propria tecnologia proprietaria via API a fintech e banche italiane ed europee, che così sono in grado di offrire gli stessi servizi ai rispettivi clienti, ampliando l’offerta e riducendo il time-to-market.

FT: Molte poche persone possono vantare nel proprio CV ben 3 esperienze lavorative in 3 dei principali unicorni fintech, quali sono le principali differenze che hai riscontrato rispetto alle tue esperienze precedenti?

OM: Sono esperienze che mi hanno arricchito moltissimo, in momenti diversi della mia carriera e in modi diversi. Ho potuto soprattutto riscontrare differenze a livello di cultura aziendale, legate naturalmente all’origine geografica di ciascuna azienda: Circle è un’azienda americana e “americano-centrica”, dove ho potuto assistere alla nascita del criptodollaro (creato insieme a coinbase). In Revolut ho avuto l’opportunità di costruire lo sviluppo del business e delle partnership non solo in Italia, ma in altri sei mercati del Sud Europa, lavorando in un’azienda UK durante il periodo – difficile – di Brexit. E infine in Bitpanda ho lanciato il mercato italiano di un’azienda che ha tutte le carte in regola per essere veramente un player globale. Un’azienda nata nel cuore dell’Europa, a Vienna, che in pochi anni non solo è diventata profittevole (ormai siamo al settimo anno di utile) ma si è affermata come leader europeo.

FT: Quali pensi che siano i trend più rilevanti nel fintech per i prossimi 12 mesi?

OM: Nel settore ci sono alcuni trend davvero molto interessanti. Naturalmente partiamo con il più dibattuto, quello della rivoluzione delle criptovalute, ormai sulle pagine di tutti i giornali. E poi sarà interessante seguire gli sviluppi del cosiddetto Metaverso, una volta che l’hype iniziale lascerà spazio a progetti sempre più concreti. Ma ci sono tanti altri trend che ruotano attorno ai dati e alle blockchain, su cui naturalmente le cripto poggiano. Pensiamo ad esempio al tema platform-as-a-service (PaaS), ai servizi bancari non tradizionali, alla crescente dipendenza dalle tecnologie intelligenti, alle opzioni di pagamento in mobilità, alle innovazioni sulle cripto e sulla blockchain, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza. A livello più mainstream, c’è un trend finanziario sempre più prominente: ognuno di noi si interessa agli investimenti dato il grande hype sui social media e anche sui media tradizionali. Naturalmente questo è importantissimo per piattaforme di investimento come Bitpanda.

FT: Ti facciamo un’ultima domanda con la speranza che possa essere di aiuto alla community di FT, ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?

OM: Bisogna innanzitutto provare a seguire le proprie aspirazioni e le proprie passioni, consapevoli del fatto che a vent’anni o poco più sia ancora difficile capire che cosa si voglia fare nella vita. Il percorso di carriera di ciascuno deve assolutamente tenerne conto, perché sono la benzina che permette di correre e superare ogni traguardo. Per chi vuole specializzarsi nel fintech, più che l’esperienza in una big corporate o in una start-up, suggerisco di prendere in considerazione di valutare un’esperienza in una scale up tecnologica europea, che sforna sempre più unicorni per fortuna. A parte priorità ormai banali ma sempre cruciali quali la conoscenza delle lingue straniere e qualche esperienza all’estero, va data massima importanza allo studio. Coding e data analytics sono aree fondamentali: prima di avvicinarsi ad un settore come questo, vanno poste solide fondamenta in questi ambiti, che consentano un domani di poter effettivamente acquisire una visione d’insieme.

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Federico Roesler Franz, Commercial Country Head Italy di Solarisbank

Intervista con Federico Roesler Franz, Commercial Country Head Italy di Solarisbank (english version below).

Ciao Federico, innanzi tutto grazie per essere su Fintech Titans a parlare di fintech e nello specifico di Solarisbank. Raccontaci di voi, qual è il vostro core business e quali servizi offrite?

Solarisbank è la principale piattaforma europea di Banking-as-a-Service. Forte di una licenza bancaria tedesca completa, concessa dall’Autorità Federale Tedesca di Supervisione Finanziaria (BaFin), la società permette a tutte le aziende di offrire servizi finanziari senza la necessità di una licenza propria, evitando così i consistenti oneri finanziari e burocratici connessi. La sua piattaforma tecnologica dispone di una vasta gamma di prodotti modulari, tra cui conti bancari digitali, soluzioni di identificazione e di prestito, nonché servizi di asset digitali. In Italia, il BaaS (Banking-as-a-Service) è un concetto ancora abbastanza nuovo per il grande pubblico, per questo è importante spiegare cosa sia esattamente, così che tutti possano apprezzare e cogliere le opportunità che questa tecnologia dirompente e democratica apre nel nostro Paese. Il BaaS permette a qualsiasi azienda di offrire servizi finanziari direttamente ai loro clienti implementandoli in modo rapido e conforme alle normative, tramite API facili da integrare nei pacchetti di servizi a valore aggiunto. Aziende operanti in ogni settore che si rivolgono ad una piattaforma BaaS come Solarisbank possono integrare, nella loro offerta, servizi finanziari. Questa tendenza è anche conosciuta come Embedded Finance – o Finanza Integrata – e sempre più neobanche e non-banche stanno entrando nel mercato dei servizi finanziari, che possono integrare direttamente e offrire ai clienti sotto il proprio marchio. Il nostro obiettivo è quello di affermarci come la prima piattaforma di BaaS in Europa attraverso il quale il mercato europeo della finanza integrata prospererà.

Come si è espansa Solarisbank a livello internazionale?

Solarisbank è stata fondata in Germania nel 2016 e abbiamo vissuto una crescita enorme negli ultimi anni. I ricavi sono sostanzialmente raddoppiati di anno in anno e gli investitori di alto profilo hanno confermato il loro supporto participando ad ogni round di finanziamento e confermando la bontà del business che Solarisbank propone. Infatti, anche il nostro ultimo Series D round è stato oversubscribed, portandoci a una valutazione totale di 1,4 miliardi euro e consolidando la nostra posizione come leader del mercato. Il capitolo attuale di sviluppo riguarda proprio l’espansione e consolidamento internazionale: abbiamo appena inaugurato filiali in Francia, Spagna e Italia, sebbene fossimo già attivi su questi mercati attraverso il passporting. Ora, proprio attraverso la creazione di entità dedicate e l’offerta di IBAN locali in questi tre nuovi mercati, ci ancoriamo saldamente ai rispettivi ecosistemi finanziari nazionali, che ci consentono di offrire ai nostri partner servizi su misura per le esigenze del mercato locale e avvicinandoci ulteriormente ai nostri clienti finali.

Quali saranno le tendenze sul futuro del banking secondo te?

Vediamo sicuramente una tendenza verso il vertical banking, o banca di nicchia, con sempre più neo-banche che vanno in questa direzione rivolgendosi a gruppi target molto specifici (dal sustainable banking, alle banche “di genere” o alle soluzioni per le PMI e per i liberi professionisti). La tendenza della finanza integrata sta cambiando fondamentalmente il modo in cui interagiamo con i servizi finanziari ed è destinata a rivoluzionare in positivo l’industria dei servizi finanziari. Se consideriamo le cifre e i dati, la tendenza è più che chiara: secondo una ricerca che abbiamo condotto in collaborazione con l’istituto di ricerca Handelsblatt nell’aprile di quest’anno, il potenziale della finanza integrata e quindi del Banking-as-a-Service è immenso. Solo in Europa, quasi 500 milioni di conti bancari sono in palio nei prossimi anni. Lightyear Capital stima che il mercato globale della Embedded Finance crescerà esponenzialmente passando dai circa 22,5 miliardi di euro attuali a quasi 230 miliardi di euro entro il 2025.

Gli Stati Uniti con le loro Big Tech americane e la Cina sono considerati pionieri di questo sviluppo. Dove si trova l’Europa in confronto?

Gli Stati Uniti e la Cina sono pionieri, mentre l’Europa si sta già facendo strada – avendo già molte iniziative nei grandi mercati (con attori come Samsung, Orange, Lidl). C’è sicuramente uno sviluppo interessante, ma c’è ancora enorme spazio per crescere, il che rappresenta un’opportunità molto interessante per le aziende. C’è un chiaro incentivo per i regolatori europei a promuovere la finanza integrata, promovendo parità di condizioni per i servizi finanziari in Europa. Se non solo le banche, ma qualsiasi azienda può offrire servizi finanziari conformi, allora il risultato è una concorrenza molto più grande e, di conseguenza, più varietà e servizi di migliore qualità per i consumatori. D’altra parte, la finanza integrata sarà uno strumento essenziale per difendere e rafforzare le aziende tecnologiche europee contro la concorrenza internazionale. Se l’Europa vuole posizionarsi come un territorio fertile per il tech, ha bisogno di plasmare un paesaggio normativo favorevole per far prosperare la finanza integrata. Con la strategia del mercato unico digitale, la Commissione europea sta andando nella giusta direzione. Inoltre, con la direttiva sui servizi di pagamento 2 (PSD2), entrata in vigore nel 2019, è stato fatto un passo in avanti concreto per creare un mercato europeo dei pagamenti meglio integrato. Tuttavia, sarebbe auspicabile un’ulteriore armonizzazione dei mercati finanziari europei, tra cui, ad esempio, un allineamento dei requisiti KYC in tutti gli stati membri.

Quali sono i vostri obiettivi per il mercato italiano e quali sono le prospettive per il 2022?

L’Italia è uno dei mercati chiave per Solarisbank; ci presentiamo sul mercato con l’obiettivo di guidare la crescita del Banking-as-a-Service nel Paese e di aiutare le aziende italiane ad offrire le migliori soluzioni finanziarie ai loro clienti e, in definitiva, a sostenere e accelerare la delicata fase di ripresa post-pandemia. Grazie a diversi strumenti fra cui gli IBAN locali, Solarisbank non solo sta permettendo ai nostri partner di localizzare la loro offerta e di adattarla alle esigenze dei rispettivi clienti finali, ma anche di superare gli ostacoli dettati dalla discriminazione dell’IBAN. Il mercato italiano offre un enorme potenziale di crescita – specialmente nel settore bancario delle PMI, che in Italia rappresenta la stragrande maggioranza delle aziende attive. Le PMI hanno l’opportunità di crescere e riprendersi più velocemente grazie ad innovative soluzioni di aziende ad alto indice tecnologico che integrano prodotti BaaS, ed inoltre di accelerare la loro internazionalizzazione; l’obiettivo è coinvolgere un numero sempre maggiore di aziende per affiancarle nello sviluppo di nuove soluzioni e accompagnarle in un percorso di crescita e successo comune.

English Version ⬇️

Hi Federico, first of all thanks for being on Fintech Titans to talk about fintech and Solarisbank; could you explain the core business of Solarisbank? What services it offers?

Solarisbank is Europe’s leading Banking-as-a-Service platform. It is important to explain what exactly is Banking-as-a-Service (BaaS) to understand the opportunities that this disruptive technology opens up. BaaS empowers any company to offer financial services compliantly and rapidly via easy-to-integrate APIs. Companies who leverage BaaS platforms can seamlessly integrate financial services such as digital banking accounts and payment cards as well as identification, lending and digital assets services into their own product offering. This trend is also known as Embedded Finance and more and more neobanks and non-banks are entering the financial service market to take on traditional banks. Based on our research we believe that almost 500 million accounts in Europe are up for grabs within the next 5 to 10 years. Our goal is to provide the core European bank on which the European embedded finance market thrives.

How has Solarisbank expanded internationally?

Solarisbank was founded in Germany 2016 and we have experienced a huge growth over the last years. The revenues have doubled year by year and top-tier investors joint our cap table. In fact, our Series D round was oversubscribed with a total valuation of 1.4 billion, cementing our position as the market leader. We have just opened branches in France, Spain and Italy in July. While we have already been serving these markets by means of “passporting” individual services under our German banking license, we are now taking it one step further. Through setting up dedicated entities and offering local IBANs in these three new markets, we firmly anchor ourselves in their respective domestic financial ecosystems, allowing us to offer our partners services that are tailored to the local market requirements while also generating high engagement with end customers.

What will be the trends of the future of banking according to you?

We definitely see a trend towards vertical banking, or niche banking, with more and more neo-banks going into this direction targeting very specific target groups (from sustainable banking, to banks specifically for women or solutions for SMEs or for freelancers). The trend of embedded finance is fundamentally changing how we interact with financial services and is destined to disrupt the financial services industry. If we consider figures and data the trend is more than clear: According to research we conducted in cooperation with the Handelsblatt Research Institute in April this year, the potential for embedded finance and thus Banking-as-a-Service is immense. In Europe alone, nearly 500 million bank accounts are up for grabs in the next few years. Lightyear Capital estimates that the global market for embedded finance will grow from around EUR 22.5 billion at present to around EUR 230 billion by 2025.

The U.S. with their American Big Techs as well as China are considered pioneers of this development. Where does Europe stand in comparison?

U.S and China are pioneers, while Europe is already making its way – having already lots of initiatives in big markets (with players like Samsung, Orange, Lidl). There is definitely a development but there is still room to grow, which presents a very interesting opportunity for companies. There is a clear incentive for European regulators to foster embedded finance. On the one hand, it levels the playing field for financial services in Europe. If not just banks, but any company can offer compliant financial services, then the result is far greater competition and, consequently, more variety and better-quality services for consumers. On the other hand, embedded finance will be an essential tool for strengthening European tech companies against competition. If Europe wishes to position itself as a stronghold for tech, it needs to shape a favorable regulatory landscape for embedded finance to thrive. With the Digital Single Market strategy, the European Commission is steering in the right direction. Furthermore, with the Payment Services Directive 2 (PSD2), which entered into effect in 2019, a concrete step was taken to create a better integrated European payments market. Nonetheless, further harmonization across the European financial markets would be welcome, including, e.g., an alignment of KYC requirements across all member states.

What are your goals for the Italian market and what are the prospects for 2022?

Italy is one of the key markets for Solarisbank; we present ourselves on the market with the aim of driving the growth of Banking-as-a-Service in the country and to help Italian companies to offer the best financial solutions to their customers and, ultimately, to support and accelerate the delicate post-pandemic recovery phase. Thanks to the local IBANs, is not only enabling our partners to further localize their offering and tailor it to the needs of their respective end-customers, but also tackling the hurdles of IBAN discrimination. The Italian market offers enormous growth potential – especially in SME banking, which in Italy means the vast majority of the active companies. SMEs have the opportunity to grow and recover faster thanks to BaaS solutions and furthermore accelerate their internationalization.
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Blog Innovations Technology

Francesca Passeri, Deputy Director at European Crowdfunding Network

FT: Ci potresti raccontare il tuo percorso professionale e come sei arrivata al crowdfunding?

FP: Grazie a voi per la bella opportunità! Posso dire che professionalmente sono nata con il crowdfunding, nonostante il mio background accademico fosse molto più orientato alle relazioni internazionali e agli affari europei. Sono arrivata in Eurocrowd nel 2016 (all’epoca ancora ECN), un po’ per caso perché ero in cerca di opportunità di tirocinio su Bruxelles, e poi non sono più andata via. È uno strumento che mi ha permesso di combinare le conoscenze e la formazione in ambito di politiche più “tradizionali” (fondi e finanziamenti europei, finanza tradizionale, politica di coesione e sviluppo regionale) con un approccio innovativo in un settore considerato tra i più ostici per i non addetti: quello della finanza. In questo momento mi trovo ad essere co-direttore dell’unico network che rappresenta il settore del crowdfunding a livello europeo e devo dire che lo sviluppo che ho avuto modo di vedere nei passati cinque anni è stato davvero entusiasmante, ma sono certa che lo sarà ancora di più dal momento in cui entrerà effettivamente in vigore il regolamento europeo per i fornitori di servizi di crowdfunding. 

FT: La normativa Europea cambierà il volto delle piattaforme di crowdfunding, puoi spiegarci come? 

FP: Per come è strutturata, la normativa si propone l’ambizione di avviare un percorso di standardizzazione delle regole operative e delle norme a protezione degli investitori nel settore del crowdfunding in Europa. Appare chiaro che il testo che entrerà in vigore, integrato dagli standard tecnici di ESMA, sia solo un primo passo. La volontà di consolidare il mercato e renderlo ancora più interessante agli occhi di imprese e investitori è dimostrata chiaramente nel testo pubblicato dalla Commissione Europea, che già prevede una revisione di medio periodo della normativa dopo i due anni dall’entrata in vigore. Ci aspettiamo un consolidamento del mercato che, non lo nascondo, porterà tante opportunità ma anche tante sfide a chi gestisce un portale di crowdfunding. Da una parte, la creazione di un mercato unico significa che i portali già operativi in specifici territori nazionali si troveranno a dover fronteggiare l’arrivo di possibili competitor da ogni altro Stato Membro, oltre che alle piattaforme di nuova creazione. Dall’altra, assisteremo senza dubbio ad una contrazione del numero di operatori attivi in Europa, a beneficio di quei portali che riusciranno a consolidare sempre di più la loro presenza, dimostrando di avere un business model solido e resiliente, capace di trarre il massimo dalla nuova conformazione normativa e del mercato. 

FT: Secondo te il crowdfunding in Italia è arrivato a una fase di maturità?

FP: Penso che sia uno strumento in crescita esponenziale e sostenuta, ce lo dimostrano gli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, ed è un trend che, fortunatamente, non accenna a rallentare. Penso anche che ci sia grandissimo spazio per un’ulteriore espansione del mercato, sia in termini di volumi di raccolta per singola offerta, sia in termini di qualità delle offerte proposte tramite portali di crowdfunding. Se per maturità vogliamo intendere una fase in cui il mercato ha raggiunto il suo massimo punto di elevazione e si avvia verso una stabilizzazione dei volumi, penso allora di poter dire che siamo ancora ben lontani e che questa debba essere vista come una posizione assolutamente positiva da tutti quegli operatori che si muovono all’interno o gravitano attorno al settore. Basti considerare il fatto che l’opportunità dell’offerta di strumenti di debito da parte di portali di equity è ancora in fase di studio da parte di molti e magari andrà rivisitata prima di poter essere colta, ma è uno scenario del tutto embrionale e con enormi potenzialità. Si pensi anche all’assenza, secondo me solo temporanea, di un mercato secondario per l’equity crowdfunding e guardiamo invece ai risultati sorprendenti ottenuti da quei portali che sono riusciti ad attivare una bacheca “interna” per lo scambio di quote. Sono tutti elementi che puntano chiaramente nella direzione di un futuro sviluppo ancora più importante per il mercato italiano e all’interno del quadro europeo. 

FT: Cosa lo distingue dagli altri paesi europei?

FP: È una domanda a cui è difficile dare una risposta precisa. Personalmente, penso che il tratto più distintivo del mercato del crowdfunding italiano sia la grande diversificazione dell’offerta ai risparmiatori. Tutti i modelli di crowdfunding, dall’equity al donation per cause personali, sono molto ben affermati e questa è sicuramente una caratteristica non comune in altri mercati europei. Le imprese, le associazioni, gli enti pubblici ma anche gli investitori italiani sanno di potersi rivolgere ad un’ampia platea di operatori in grado di garantire un livello di qualità mediamente elevato. Non è così comune come si potrebbe pensare negli altri paesi europei, dove iniziamo a vedere una settorializzazione sempre più marcata per modelli o per settori verticali di business. 

FT: Crowdfunding e investitori istituzionali, due mondi che all’apparenza possono sembrare lontani, è veramente così? 

FP: Sono mondi che condividono gli strumenti operativi da sempre, ma che si sono guardati con reciproca diffidenza per qualche tempo. Da qualche anno a questa parte, ad ogni modo, abbiamo visto crescere molto il numero e la qualità delle partnership che si sono instaurate tra portali di crowdfunding di ogni tipo e investitori istituzionali. Questa è un’ottima notizia per il mercato italiano e non solo per le parti coinvolte direttamente (portali di crowdfunding e investitori istituzionali), ma ovviamente anche per le imprese e gli investitori retail che si interfacciano con il crowdfunding. Gli accordi con investitori istituzionali portano solitamente a chances più alte di chiusura delle campagne di crowdfunding, non solo perché permettono di adempiere ai requisiti imposti da Consob (nel caso delle campagne di equity, per esempio), ma anche perché stimolano fiducia negli investitori retail e supportano un percorso di crescita delle imprese finanziate anche a livello di una strutturazione maggiore del proprio business plan. E questo è un trend che ci conferma anche l’ultimo rapporto pubblicato dal Centro per la Finanza Alternativa dell’Università di Cambridge, che vede l’Italia come il paese europeo con il più alto tasso di istituzionalizzazione nel settore del crowdfunding, con un 93-94% dei volumi totali di finanziamento per il 2019-2020 fornito da investitori istituzionali. 

FT: Ti facciamo un’ultima domanda con la speranza che possa essere di aiuto alla community di FT, ti sentiresti di consigliare un’esperienza nel mondo fintech a un giovane che appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza nel mondo della finanza classica?

FP: Per mia esperienza personale, non posso che consigliare di avvicinarsi professionalmente al mondo fintech quanto prima. Ovviamente avere un background in finanza tradizionale aiuta ad entrare più velocemente nelle logiche del settore, ma il mio caso dimostra che si può fare anche un percorso diverso. Sono entrambi mondi molto vicini, per quanto possano sembrare distanti, e il fintech ha un grande bisogno di giovani che vogliano contribuire alla crescita del settore con professionalità e trasparenza. In Eurocrowd abbiamo attivato dei corsi professionalizzanti proprio a questo scopo, e stiamo lavorando all’attivazione di partnership di tirocinio formativo presso i nostri associati che hanno espresso un interesse in questo senso.

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PAOLO GIOLITO, SENIOR WEALTH MANAGER E ANGEL INVESTOR

FT: Ci potresti raccontare il tuo percorso professionale?

Dopo la laurea in Economia e Commercio ho iniziato a lavorare in Wealth Management per alcuni tra i più importanti gruppi internazionali, seguendo lo sviluppo della struttura commerciale in Italia e lavorando a progetti normativi e regolamentari. Ho nel frattempo iniziato a seguire programmi di mentorship, riprendendo uno dei miei “sogni nel cassetto”: fare coaching e formazione. Nel corso degli ultimi 8 anni il confronto con mondo universitario, acceleratori e fondi Venture si e’ fatto più articolato e intenso, fino ad assorbire completamente tutto il tempo libero a disposizione. Attualmente collaboro anche con LeVillage a Milano, un modello di ecosistema nato in Francia (con più di 30 realtà operanti) e portato con successo in Italia, che mette in contatto big corporate, enabler e ovviamente startup.

FT: Cosa ti ha spinto a diventare Business Angel?

Credo molto nel concetto di “give-back”, concetto anglosassone ma sempre più adottato anche in Italia, che consiste essenzialmente nel poter restituire alla comunità qualcosa che noi abbiamo avuto fortuna e merito di aver ricevuto. L’idea di poter mettere a denominatore comune l’esperienza fatta lavorando a stretto contatto con imprenditori su diverse verticali, oltre ad una forte curiosità nei confronti di tutto quello che è innovazione si sono concretizzati qualche anno fa con l’adesione al primo gruppo di Business Angel. Avevo già maturato una discreta conoscenza dell’attività di un Angel in Usa e UK, e mi ha fatto piacere conoscere una realtà composta da professionisti che condividevano le mie idee e volevano in termini concreti dare un contributo allo sviluppo del nostro paese. Dico questo per chiarire un concetto essenziale: fare il business angel non vuol dire solo ricoprire la figura dell’investitore finanziario in progetti early stage, ma offrire quello che il MISE ha definito recentemente “smart money”, ovvero un rafforzamento del sistema delle start-up innovative italiane sostenendole nella realizzazione di progetti di sviluppo e facilitandone l’incontro con l’ecosistema dell’innovazione.

FT: Secondo la tua esperienza, qual è il modo più efficace di attrarre capitali per le startup?

I metodi per attrarre capitali sono diversi, e più o meno attivabili tutti a seconda della maturità della startup: round family&friends, Crowdfunding, Angel Investing, Venture Capital etc … senza dimenticare ovviamente i vari bandi o l’accesso a finanziamenti garantiti. Ritengo che non esista un canale per definizione più efficace, il migliore e’ comunque quello che riesce a garantire un equilibrio fra la qualità e la quantità dei mezzi raccolti. Una startup early stage necessiterà di importi che aiutino a validare l’idea, sperimentare il modello e iniziare a fare revenues, una in uno stadio più avanzato punterà alla scalabilità del business e ad un tem più completo. L’importante è ricordarsi sempre che raccogliere capitale in un equity round vuol dire aprire il proprio progetto a terzi, i quali avranno poi aspettative che non devono essere disattese, a rischio di non riuscire a finanziare la crescita in momenti successivi.

FT: Vista la tua specializzazione nel il fintech quali pensi siano i trend che spingeranno il settore nel 2021?

Il settore finanziario ha da tempo sperimentato la portata dell’innovazione. Basti pensare ai primi sistemi di robo-advisory, software progettati per la consulenza finanziaria e la gestione degli investimenti tramite algoritmi, nati nei primi anni duemila negli Stati Uniti. Da allora la tecnologia e’ stata utilizzata per ottimizzare flussi, ridurre i costi delle transazioni, creare modelli di contenimento del rischio e migliorare gli aspetti documentali. L’avvento di nuove tecnologie (in primis blockchain) e importanti novità normative (PS2D, Mifid) di sicuro creerà nuove funzionalità, fino ad ora non considerate, e spazio a sempre più nuovi player di mercato: si pensi al recente sviluppo delle Challenger Bank o alla DeFi (Finanza Decentralizzata, forma sperimentale di sistema finanziario che non si basa su intermediari centrali “tradizionali” come broker, exchange o banche e utilizza invece smart contract sulla blockchain)

FT: Ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che ha appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?

Lavorare in una start-up richiede una buona capacità imprenditoriale, con un elevato rischio di potenziale insuccesso. Ed essere bravi imprenditori e’ una qualità che si impara con una buona esperienza. La grande corporation, da questo punto di vista, può anche rappresentare un’ottima palestra e continuazione di quanto appreso durante gli studi accademici. Ma una volta acquisite le hard skills e affinate le soft skills penso che sia una bellissima sfida iniziare a lavorare in ambito fintech per una startup.

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FEDERICO ROESLER FRANZ, COUNTRY MANAGER ITALY AT RAISIN

FT: Ci potresti raccontare il tuo percorso professionale, come sei arrivato al Fintech?

Ho sempre lavorato nel mondo startup, e dopo una breve esperienza di internship a Londra, 10 anni fa ho iniziato la mia carriera in Bulsara Adverstising, una startup nel mondo media lanciata insieme ad altri ex colleghi dell’università, in cui ho lavorato fino al 2016.

Ho collaborato successivamente per una società di consulenza su un progetto digitale nel mondo bancario, e poi nel 2017 mi sono spostato a Berlino, iniziando a lavorare da Lesara come Direttore del Sud Europa. Ma ad essere sincero, per quanto fossi contento della posizione, il business non si è rivelato così interessante (si trattava di un e-commerce nel mondo fashion, l’azienda purtroppo è fallita in seguito), mi mancava il mondo bancario. Così appena si è aperta la possibilità di entrare a far parte del team italiano di N26, di cui ero già un cliente molto soddisfatto, come FTE n.2 non ci ho pensato due volte. È stata un’esperienza fantastica e in un anno siamo passati da 0 a 100k clienti nel mercato. Dopo circa un anno e mezzo sono entrato in Raisin.

Al momento da Raisin ricopro il duplice ruolo di Head of Banking Relationship Management e Country Manager Italy, quindi in primo luogo gestisco il team che si occupa dei progetti B2B direttamente con le 100 banche che fanno raccolta sulle nostre piattaforme europee, come l’espansione del loro business in nuovi mercati.

Il ruolo di Country Manager Italy si è aggiunto in parallelo successivamente, avendo seguito il progetto del nostro ingresso nel mercato italiano B2C grazie alla partnership con Banca Sella, e gli sviluppi futuri.

FT: Di cosa vi occupate in Raisin?

Raisin permette alle banche attive in Unione Europea di offrire i propri prodotti di deposito in un unico marketplace in diversi mercati (Germania, Austria, Olanda, Spagna, Irlanda, Francia, UK). Attraverso la piattaforma, i clienti possono confrontare i servizi e le soluzioni offerte e sottoscrivere i prodotti più adatti ai loro bisogni, dai conti vincolati ai conti liberi delle nostre banche partner, al momento più di 100 provenienti da 25 Paesi. Tra l’altro, l’Italia è il Paese più rappresentato con 14 banche presenti.

In questi 7 anni, abbiamo transato complessivamente 28 miliardi di euro.

FT: Cosa significa lavorare per uno dei principali unicorni fintech europei?

Non riveliamo la nostra valutazione, quindi non posso parlare specificatamente di unicorno. Cerchiamo davvero di rimanere concentrati sul valore che forniamo ai nostri clienti e ai nostri partner. Guardando al futuro, è molto emozionante e dinamico far parte di una giovane azienda di grande successo e partecipare così alla costruzione di partnership paneuropee con importanti player del nostro settore, aprendo nuovi orizzonti e scalando nello spazio innovativo della piattaforma e dell’open banking.

FT: Quali pensi che siano le prospettive future del fintech in Italia?

Mentre il settore bancario tradizionale in Italia ha una storia incredibilmente lunga, l’Italia sta abbracciando il digital banking da poco tempo relativamente, e di conseguenza le opportunità di open banking e fintech sono estremamente dinamiche, tra cui la nostra recente integrazione con Banca Sella. Facciamo parte di un ecosistema composto da tantissime realtà in diversi verticali, e anche alcune di quelle meno conosciute ad oggi lo faranno sicuramente parlare di loro nei prossimi anni.

L’Italia è stata a lungo un Paese di first mover e sarà lo stesso per il ruolo della grande espansione del fintech.

FT: Ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che ha appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?

Questo dipende dagli obiettivi personali, ma avere esperienza da entrambe le parti – in una startup o in un’azienda più tradizionale – è enormemente utile per comprendere le diverse esigenze, risorse e culture delle aziende più grandi e più vecchie rispetto a quelle più nuove e più agili. Chi lascia gli studi può anche notare che l’una o l’altra cultura si adatta meglio alla propria personalità: le startup fintech hanno spesso gerarchie flat e processi più semplici, e lavorare in una di esse può significare aiutare a costruire l’azienda dalle fondamenta e pensare fuori dagli schemi. Allo stesso tempo, lavorare in una grande azienda può significare imparare come un’azienda già di successo fa le cose, acquisendo esperienza con processi e strutture di team molto più complessi. 

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STEFANO ROSSI, COUNTRY MANAGER DI LITA.CO ITALIA

FT: Ci potresti raccontare il tuo percorso professionale, come sei arrivato al Fintech?

Dopo un’esperienza nella finanza d’investimento al termine del mio MBA presso l’HEC di Parigi, ho deciso di dedicarmi al mondo delle startup e dell’innovazione, specializzandomi in strumenti finanziari alternativi a sostegno dell’economia sostenibile.

Mi sono unito a LITA nel 2017, entrando nel team quando era ancora molto ristretto e contribuendo allo sviluppo internazionale del gruppo: prima da Parigi e poi da Torino e Milano ho diretto il setup ed il lancio di LITA.co Italia, che oggi coordino col ruolo di Country Manager.

FT: Di cosa vi occupate in Lita.co?

LITA.co è la prima piattaforma di crowdfunding in Europa specializzata in finanza di impatto. Da un lato ospitiamo progetti imprenditoriali sostenibili, con un impatto sulla società e l’ambiente che è positivo, misurabile e intenzionale. Dall’altro permettiamo a chiunque di investire, tramite la nostra piattaforma, in questi progetti imprenditoriali anche a partire da piccole somme (anche solo 100€), realizzando uno dei nostri principali obiettivi: la democratizzazione dell’impact investing. Tutte le aziende presentate su LITA rispettano criteri di sostenibilità economica, sociale o ambientale e contribuiscono al raggiungimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibili dell’Agenda 2030, che sono uno dei punti fondanti delle nostre attività di divulgazione per imprenditori e cittadini.

FT: Puoi farci un esempio di campagna che avete lanciato in Italia?

I settori di attività delle imprese che ospitiamo sul portale LITA.co Italia sono i più vari. Il punto fermo rimane sempre la sostenibilità, ambientale e sociale.

Quest’anno abbiamo ospitato la campagna di Humus, una startup innovativa di Cuneo che ha creato una piattaforma di job sharing per il settore agricolo, con la finalità di contrastare il ricorso delle imprese agricole al lavoro irregolare fornendo un contratto di lavoro stabile per i lavoratori.

Proprio in questi giorni stiamo chiudendo una campagna unica nel suo genere, che coniuga gli investimenti nel settore immobiliare con il social housing e la rigenerazione urbana: Homes4All è la startup innovativa e società Benefit di Torino che favorisce la rigenerazione urbana tramite investimenti immobiliari di una rete di investitori privati che hanno a cuore, oltre al rendimento economico, anche l’impatto sociale.

FT: Quale pensi sia la sfida per il mondo degli investimenti sostenibili nel prossimo futuro?

Questa categoria di investimenti è finora rimasta prerogativa dei grandi investitori istituzionali, il grande pubblico ne era escluso se non addirittura inconsapevole della sua esistenza. Negli ultimi mesi in Italia stiamo facendo passi importanti per colmare questo gap. La diffusione di questa sensibilità verso la sostenibilità in più ambiti rende ancora più necessaria l’esistenza di strumenti, come l’equity crowdfunding, utili per democratizzare l’approccio e i criteri della finanza sostenibile e responsabile, rendendola accessibile a tutti.

FT: Un’ultima domanda con la speranza che possa essere di aiuto alla community di FT, ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che ha appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?

Potendo scegliere, suggerirei ad un neolaureato di cominciare la propria carriera in un’azienda strutturata che possa permettersi di investire nella formazione dei propri dipendenti. Avrebbe l’opportunità di crescere in un ambiente protetto, imparando dai propri superiori e confrontandosi con i colleghi. Lavorare in una startup è una splendida opportunità di vita che consiglio a tutti ma che richiede, da subito, un elevato grado di autonomia ed una buona base di competenze consolidate.

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PARLIAMO DI BLOCKCHAIN CON SARA NOGGLER

FT: Partiamo da te, ci potresti raccontare il tuo percorso professionale? 

Arrivo dal mondo della  gestione del credito, folgorata ne 2015 da blockchain, dedico ormai da anni la mia attività allo studio e alla difussione di questa tecnlogia dalle grandi potenzialità trasformative.

Ho fondato nel 2018 un agenzia di comunicazione che si occupa di ufficio stampa e e pubbliche relazioni per Start Up, Corporate e Istituzioni con focus su blockchain e fintech Polyhedra, comunicare al meglio le nuove tecnolgie è fondamentale.

Sempre nel 2018 insieme ad alcuni partner ho fondato il primo Think Tank italiano dedicato a Blockchain: Distributed Minds.

FT: Di cosa vi occupate in Distributed Minds?

Distributed Minds è un think tank italiano indipendente con una visione globale che mira alla creazione di un ecosistema blockchain basato più sulla qualità e sull’adozione, dove inclusione, sostenibilità per il business e trasversalità siano reali e non solo parole.

Per farlo facilitiamo il dialogo tra le istuzioni, le aziende e i cittadini : organizziamo eventi, webinar e inerviste che diffondano ad aprono  un dibattito costruttivo intorno alle sfide della blockchain, dello sviluppo sostenibile e dell’inclusione, con l’obiettivo di proporre nuovi principi, strategie e soluzioni.

Il Think Tank opera con una visione globale e un approccio intersettoriale che esplora le sfide e le opportunità che emergono dalla progettazione, dall’uso e dalla governance delle tecnologie blockchain e DLT. 

Le soluzioni e le raccomandazioni politiche risultanti dal lavoro del Think Tank sono pensate per consentire agli stakeholder e alla politica di anticipare le sfide e sfruttare pienamente le opportunità dell’era digitale.

FT: Come membro della Steering Committee Blockchain di Assolombarda, come credi si stiano muovendo le istituzioni con rispetto alle tecnologie emergenti?

Le istituzioni si muovono, ma ancora a rilento e spesso vi sono tante iniziative frammentate che non riescono ad avere la giusta spinta.

Devono nascere politiche atte a sostenere la creazione di ecosistemi per massimizzare l’uitlizzo delle risorse. La piccola e media impresa italiana ha oggi il forte bisogno di un sostegno sistemico.

Occorre dare all’intero sistema produttivo un’occasione di crescita e sviluppo, mettendo a disposizione agevolazioni, che abbracciano diverse tematiche, che vedono finalmente l’utilizzo di diversi fondi che il Governo mette a disposizione del mondo imprenditoriale. 

FT: Qual è il tuo punto di vista sul futuro delle criptovalute?

Sinceramente penso che la rivoluzione che porteranno sulla nostra economia, sul mondo della finanza, delle banche e e dei pagamenti sarà di gran lunga maggiore di quello che immaginiamo.

Le criptovalute stanno diventando sempre più utilizzate a livello globale e italiano. Anche PayPal ha annunciato di accettare i bitcoin come moneta di pagamento, importante quindi analizzare la situazione attuale, i trend futuri e anche le collaborazioni del settore.

Abbiamo già iniziato a vedere piccole istituzioni entrare nello spazio delle criptovalute. In futuro potrebbe esserci l’ingresso nel settore di istituzioni finanziarie sempre più grandi e la maggior parte dei fondi manterrà una parte delle proprie attività in criptovalute.

FT: Infine vorremmo chiederti cosa consiglieresti a un giovane che vorrebbe avvicinarsi al mondo delle criptovalute? Come e dove formarsi e entrare in contatto con aziende del settore? 

Ci sono vari strumenti anche on line per avvicinarsi a questo mondo, i blog di alcuni esperti statunitensi sono molto interessanti , uno tra tutti che mi viene da citare è il Podcast di Anthony Pompliano.

E poi leggere tanto studiare, verificare e partecipare ai tanti eventi organizzati in Italia e nel mondo che ora sono on line, ma che presto riprenderanno fisici.

Diverse università italiane hanno introdotto corsi specifici su blockchain e criprovalute.

Auspico poi che sempre più ragazze siano attratte da questa tecnologia, dove ancora la presenza femminile è molto bassa. 

Poter contare su un numero più elevato di donne nell’ecosistema blockchain porterebbe ad una maggiore collaborazione e a una governance più attenta.

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FEDERICO SFORZA, CHIEF EXECUTIVE OFFICER & CO-FOUNDER AT AIDEXA

FT: Partiamo da te, ci potresti raccontare il tuo percorso lavorativo?

FS: Sono io che vi ringrazio, è un piacere anche per me! Ho 46 anni, sono sposato con due figli. Dopo una laurea con lode in Economia e internships all’estero, sono entrato in McKinsey & Company seguendo progetti strategici per clienti FIG. In questo periodo ho poi conseguito un MBA negli Stati Uniti a UCLA, dove ho fatto la mia prima esperienza imprenditoriale fondando Labstream, una società di Bioinformatica, software per le Biotecnologie.

E’ stata una milestone importante, perché per la prima volta mi sono confrontato con le complessità di una startup imprenditoriale, comprendendo l’importanza della comprensione dei bisogni del cliente e del mercato.

Sono poi entrato nel Gruppo Unicredit nel 2005, comprendendo che il settore bancario aveva necessità di trasformarsi, e dopo essere stato Responsabile dei progetti strategici sono diventato Senior Vice President a capo del Multichannel, gestendo le attività digitali in Germania, Austria e Italia. Proprio in questo contesto, mi sono reso conto per la prima volta dell’opportunità di servire meglio i bisogni degli imprenditori. Per questo, nel 2016 ho deciso di accettare la proposta di ING di seguire la Startup della Banca Digitale per le PMI, lavorando con numerose Fintech tra cui il leader mondiale di settore Kabbage.

Dopo l’esperienza in ING, ho accettato la sfida di Nexi, la paytech italiana che è poi stata la più grande IPO europea del 2019, diventando il Responsabile del Self Banking, una business unit con circa 50M€ di fatturato.

Infine, dopo oltre 20 anni di esperienza nel fintech e nel banking, ho deciso insieme a Roberto e ad Promotori di diventare io stesso imprenditore e di creare AideXa, Fintech italiana dedicata esclusivamente alle piccole imprese e alle partite Iva, che ha raccolto 45M€ diventando il maggiore “seed round” italiano di sempre.

FT: Il tuo curriculum include esperienze in grandi gruppi e importanti banche, come è stato passare al fintech? 

FS: In realtà è stato un percorso graduale, progressivo che ora ha subito un’accelerazione imprenditoriale: dopo tanta esperienza in una banca tradizionale, occupandomi di turnaround digitali, sono passato in una Banca Digitale “pura” per poter sviluppare senza legacy nuovi servizi per le imprese. Poi l’esperienza in una Fintech/Paytech leader nel settore dei pagamenti mi ha consentito di consolidare ulteriormente le skill manageriali a 360 gradi in un ambiente digitale agile ed altamente tecnologico.

Da lì, la volontà di creare io stesso una Fintech, in un momento difficile per il paese, mi ha fatto fare l’ultimo passo. Sentivo di avere maturato le conoscenze ed esperienze necessarie, con una Squadra di grande valore, per creare da zero una Fintech ideata per gli imprenditori.

Oggi dopo 5 mesi, siamo una squadra di oltre 30 talenti e stiamo testando il nostro primo prodotto con l’entusiasmo degli imprenditori. L’esperienza sinora è straordinaria!

FT: Come o quanto pensi che possa crescere il fintech da qui a 3 anni? Quali ambiti secondo saranno maggiormente interessati?

FS: Nel 2020 il Fintech comincia a dimostrare tutte il suo potenziale concreto di diventare motore di crescita e di cambiamento, non solo in Europa, ma anche e soprattutto in Italia. Questo trend accelererà ancora di più nei prossimi tre anni: l’Italia, essendo una delle economie più arretrate d’Europa dal punto di vista digitale, rappresenta anche la più grande opportunità di crescita per gli investitori, in due ambiti.

Prima di tutto nel mondo dei pagamenti, dove “tutto è iniziato”: stiamo assistendo a una crescita dei pagamenti digitali esponenziale, con numerosissimi player nazionali e internazionali che si stanno affermando sul mercato. Negli ultimi anni i pagamenti digitali in Italia continuano a crescere a doppia cifra (+11% yoy nel 2019, +15% yoy nel 2020), più rapidamente di ogni altro paese d’Europa. Per avere la conferma della “Leadership” italiana in questo ambito, basta guardare alla recente operazione Nexi/SIA e Nets, che ha creato di fatto la più grande Paytech Europea. Oppure al maxi-round di finanziamento di Satispay che ha attratto investitori del calibro di Jack Dorsey (inventore di Twitter).

In secondo luogo, grazie anche a cambiamenti “disruptive” come “l’open banking” e la PSD2, nell’ambito del Fintech per le Imprese. In Europa si assiste da un paio di anni alla nascita di fintech e banche ben capitalizzate dedicate alle PMI, come Monzo, OakNorth, Starling Bank, Tide, Penta, October. Anche qui il Fintech tricolore comincia ad affermarsi, e a cogliere l’opportunità dell’Open Banking per sviluppare servizi innovativi per gli imprenditori, sia di credito che transazionali. AideXa è stato il più grande seed round del 2020 in Europa. Per la prima volta abbiamo creato una Fintech, che ha già richiesto la licenza bancaria, dedicata e specializzata solo per gli imprenditori. Questo trend di crescita e consolidamento continuerà nei prossimi anni, perché l’Italia, con i suoi 7 Milioni di Piccole Imprese rappresenta il più grande mercato Europeo di SME, oltre ad essere il cuore economico del Paese.

FT: Quali credi siano stati gli effetti del covid che hanno maggiormente impattato il settore?

FS: Il Covid, che tutti purtroppo avremmo voluto evitare, ha portato con sé tensioni importanti sull’economia, mettendo in difficoltà numerosi settori, dal travel alla ristorazione, ma anche alcune opportunità rivelanti, a partire dalla digitalizzazione.  La «No Touch economy» che si è venuta a creare, ha accelerato la digitalizzazione degli imprenditori e di tutti noi.

Ad esempio, l’e-commerce sta crescendo a doppia cifra: tra marzo e settembre 2020 le vendite cumulate sono salite del 32% yoy. Rappresenta un’opportunità unica di rispondere e risolvere i principali “mal di pancia” degli imprenditori nelle relazioni con il sistema finanziario: trasparenza, velocità e semplicità.  Grazie all’open banking, alla PSD2, ai nuovi approcci di AI e Machine learning si sono create le condizioni di un  momento unico per creare nuovi prodotti e servizi, digitali e a distanza. La missione di AideXa è questa: facilitare la vita dell’imprenditore costruendo insieme esperienze finanziarie semplici, veloci e sorprendenti. Vogliamo accompagnare gli imprenditori nello sviluppo dei loro progetti e della loro azienda, facendo leva sulle nuove tecnologie.

FT: Banca Idea è nata durante il periodo del lockdown, un segnale positivo per l’imprenditoria italiana, come è nata l’iniziativa?

FS: Il progetto Banca Idea nasce da lontano, nel 2019, dalle idee di un gruppo di imprenditori – a partire da Roberto Nicastro e dal sottoscritto – provenienti sia dal mondo bancario che dal mondo Fintech. Vi svelo un piccolo segreto: un comune amico ed ex collega, che oggi è anche nostro investitore, sapeva che sia io che Roberto volevamo creare una fintech dedicata agli imprenditori e ci ha rimesso in contatto dopo alcuni anni: siamo letteralmente partiti da un caffè e alcune idee su foglio di carta. 

Nel tempo, abbiamo consolidato le nostre idee e portato in squadra altri promotori di grande talento e competenze, che condividono la nostra visione imprenditoriale. A marzo, in pieno Covid, abbiamo avuto l’opportunità di chiudere un round di finanziamento con investitori sinergici di grande profilo, Venture Capitalist come 360 Capital Partners e numerosi angels con competenze distintive in ogni ambito. Nonostante il Covid, lavorando da remoto con resilienza, non abbiamo esitato a lasciare i nostri lavori e creare AideXa, spinti dalla convinzione di poter supportare gli imprenditori in modo diverso, proprio in un momento critico per il Paese.

FT: Ti faccio un’ultima domanda con la speranza che possa essere di aiuto alla community di FT, ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?

FS: Assolutamente si, soprattutto se il talento ha voglia di affermarsi e di far accadere le cose. Negli ultimi mesi abbiamo attratto tra gli AideXer diversi talenti giovanissimi, provenienti direttamente dal mondo universitario: il valore che stanno contribuendo è sorprendente. Da un lato, le opportunità che hanno di crescere in un’organizzazione “flat” come la nostra, dove c’è tantissimo da fare e la responsabilità è “di chi se la prende” sono infinite. Dall’altro, possono essere giornalmente affiancati da competenze ed esperienza, sia nel mondo tecnologico che nel mondo bancario, che le supportano al momento del bisogno nella crescita, che avviene in modo accelerato. Ancora più importante: siamo persone prima di azienda, che hanno condiviso valori forti come l’imprenditorialità, l’innovazione, la velocità, la passione e l’entusiasmo. In questo ambiente, il talento può crescere, svilupparsi e “shape the future” immediatamente, anche del paese.

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IL FUTURO DEL PROPTECH SECONDO NICCOLÒ PRAVETTONI

FT: Partiamo dal tuo percorso, da Google al fintech, spiegaci come ci sei arrivato.

Dall’inizio del mio percorso professionale, ho sempre lavorato nel mondo digital dove ho avuto la fortuna di lavorare per alcune delle società più importanti del settore. Inizialmente per Airbnb e successivamente in Google, dove mi sono occupato di coordinare alcuni progetti ad alto contenuto innovativo.

In parallelo a queste esperienze, ho sempre coltivato una forte passione per il mercato immobiliare, derivante dalla mia storia familiare. 

Lavorando in Google, ho avuto l’opportunità di conoscere da vicino alcune tra le startup più promettenti del panorama Proptech Europeo, è così che sono entrato in contatto con Crowdestate ed è iniziato il mio percorso nel mondo Fintech.

FT: Data la tua esperienza nel Proptech secondo te come può convivere la tradizione del settore immobiliare con l’innovazione del fintech? 

Il mercato immobiliare, nonostante le proprie dimensioni e la grandezza anche in termini economici del settore, rimane molto spesso ancorato a dinamiche molto tradizionali. 

Credo ci sia ancora tantissimo margine per innovare il settore, da diversi punti di vista . Il più delle volte si tratta di innovazioni incrementali e di processo, che possono però aprire grandi opportunità per nuovi player. 

FT: Quali saranno le nuove tendenze del proptech? 

Il mondo del real estate è molto ampio e le innovazioni si presentano su tantissimi fronti. Ad oggi una delle tendenze maggiormente in crescita riguardo le modalità di acquisto di una proprietà immobiliare. Se dovessi scommettere su qualcosa, credo che il fenomeno del “group buying” possa essere molto interessante.

FT: Ci può spiegare più dettagliatamente cosa si intende per group buying? 

Si tratta di dare la possibilità a dei privati di acquistare un intero stabile, formato da più appartamenti e che solitamente necessita di una ristrutturazione. Ognuno dei partecipanti diventerà proprietario dell’appartamento scelto, sostenendo in parte i lavori di ristrutturazione.

Il processo di acquisto avviene in maniera molto fluida, poichè coordinato da una piattaforma di crowdfunding che certifica inoltre la bontà dell’investimento e coordina le attività di raccolta fondi e di compravendita delle unità immobiliari.

Se ci pensiamo bene, non è un concetto nuovo rispetto al semplice acquisto di una casa da ristrutturare. La grande novità risiede nel fatto che grazie alle piattaforme di crowdfunding si possono unire molte persone creando una massa critica importante.   

In questo modo, gli acquirenti hanno un risparmio sostanziale sul valore d’acquisto, effettuando direttamente l’investimento senza la necessità passaggi intermedi o grosse commissioni di vendita.

FT: Ti faccio un’ultima domanda con la speranza che possa essere di aiuto alla community di FT, ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che ha appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation? 

Sono convinto che entrambe possano essere delle esperienze molto formative. La grande azienda insegna ad avere un metodo di lavoro strutturato e a seguire dei processi ben definiti. Dall’altra parte, lavorare in una startup fintech, è molto diverso. Gli obiettivi possono cambiare anche a distanza di giorni ed è necessario riuscire ad adattarsi velocemente al cambiamento. Ci sono però grandi opportunità di crescita e di fare la differenza sin da subito. Per un giovane che si affaccia al mondo del lavoro credo possa essere un’opportunità molto stimolante!  

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INTERVISTA A MAURO MASSIRONI, HEAD OF SALES AT AZIMUT WEALTH MANAGEMENT

FT: Partiamo da te, ci potresti raccontare il tuo percorso professionale? 

Ho iniziato a lavorare come trader in ABN AMRO (poi AAA Bank), sebbene fossi sempre nell’abito finanziario, svolgevo di fatto un lavoro completamente diverso da quello che faccio ora.

All’epoca pensavo che l’essenza della finanza fosse dentro quei ticker che si muovevano su e giù sullo schermo del mio Bloomberg; mi sbagliavo di grosso.
Come scrive Paolo Basilico nel suo libro “Uomini e Soldi”: la finanza, nell’essenza, è una materia intimamente umana.
Ho capito solo in un secondo momento che il mio vero amore erano “le persone” e la finanza rappresentava il modo in cui potevo occuparmi di loro.

Attraverso la possibilità di affiancarli nella pianificazione e nella gestione dei loro investimenti (e dunque, in ultima analisi, della loro vita) oggi ho questa possibilità. 
Dopo un paio d’anni come responsabile ufficio studi di una banca con una piccola rete di consulenti finanziari, sono dunque arrivato nel 2008 in Azimut dove, dal 2013 lavoro nella Divisione Wealth Management, come Head of Sales. 

FT: Considerando la tua esperienza lavorativa, come pensi che la tecnologia possa aiutare nel processo vendita? 

La tecnologia è un abilitatore straordinario e può aiutare tantissimo in ogni fase del processo.

Nel 2017, CapGemini, ha pubblicato nel suo “World Wealth Report” un’analisi sull’hybrid advice, in cui descriveva il suo “Hybrid Advice Framework”.
Un processo di 5 step (profile/develop/execute/manage/report) in cui, per ciascuna fase, indicava quanto la tecnologia avrebbe potuto supportare/sostituire l’uomo.

Riprendendo, idealmente, quel processo, mi sento di dire che nella fase di “pre-sales” la tecnologia può indubbiamente aiutare a gestire meglio il funnel di vendita (ad esempio con tool di CRM e i tanti modi per fare lead generation). Si tratta, a mio giudizio, di qualcosa che consente di gestire e sfruttare al meglio il database dei contatti di ciascun consulente; database che -tuttavia- al momento continua a nascere e svilupparsi per lo più dall’interazione fisica e dalle referenze tra le persone ed i consulenti.

Nella fase successiva di on-boarding della clientela la tecnologia è indubbiamente uno strumento utile per assicurarsi un censimento corretto fin dal principio (non ci sono campi mancanti o errori di compilazione…) oltre che un supporto concreto al risparmio di carta (anche in ottica ESG) per la stampa di documentazione di onboarding che -periodicamente- viene poi mandata al macero.

Lo step successivo è quello dell’assestment e dell’analisi degli obiettivi: è lo step in cui  vedo ancora una componente assolutamente determinante della persona.
Se è vero che i tool ci possono aiutare a profilare meglio i clienti e possono suggerirci bisogni latenti in funzione dei profili (big data, smart data) è anche vero che è proprio in questa fase che l’empatia umana può fare la differenza rispetto ad un freddo questionario online.
Questa fase resta (e credo resterà per un po’) ad esclusivo appannaggio dell’interazione umana, quantomeno per i profili di alta complessità.

Durante la fase di proposta del portafoglio la tecnologia diventa invece fondamentale. 

Solo grazie alla potenza di calcolo dei computer oggi possiamo valutare un’offerta di prodotti di investimento così ampia come quella che offriamo ai nostri clienti e solo grazie ai computer siamo in grado di adempiere con serenità anche a tutti gli adempimenti normativi necessari per lo svolgimento della professione.
Nel monitoraggio successivo all’implementazione del portafoglio finanziario, la tecnologia può sicuramente aiutarci, grazie ad alert automatici (superamento di determinati limiti di volatilità o drawdown) e consentendoci di proporre ribilanciamenti o riallocazioni periodiche.
Anche in questo caso però, se la componente di “input” è sicuramente guidata dalla tecnologia, la mia sensazione è che sia comunque necessaria la presenza “umana” per trasferire l’output al cliente (argomentandolo e coinvolgendolo).
Stessa cosa per la fase di reporting. Indubbiamente i clienti oggi vogliono e devono poter controllare in autonomia la propria posizione patrimoniale, ma un corretto monitoraggio richiede la capacità di interpretare quei numeri, non solo di andare a consultarli.
Per cui anche in questo caso il contributo del consulente lo vedo importante. 

Insomma, che sia a supporto delle fasi di “marketing” o della fase di “costruzione del portafoglio” oggi non sarebbe davvero possibile fare a meno della tecnologia ma, allo stesso modo, credo siamo ancora lontani dal rischio di poter fare a meno delle persone.  Per fortuna, aggiungo.

FT: Abbiamo visto che nel periodo del lockdown hai fatto partire un “side project” Onebookonepage, ci puoi raccontare come ti è venuta in mente l’idea? 

Si tratta di un mio progetto personale che nasce dalla mia pratica sistematica di evidenziare e appuntare i concetti chiave delle mie letture in materia economico-finanziaria, di management & leadership, marketing, vendite, produttività, psicologia e comunicazione… il tutto per una più rapida consultazione all’occorrenza. 

Da anni ho infatti sviluppato un personale modo di “annotare” i libri che leggo e una volta terminata la lettura mi impongo di realizzare queste schede (che nascono con un banale foglio A4 scritto a penna!).
Durante il lockdown, forse anche per la criticità della situazione in cui eravamo tutti costretti, sentivo la voglia di “donare” qualcosa agli altri. Ho quindi pensato di condividere questo archivio con i miei contatti e con chiunque avesse piacere di goderne per questo l’ho messo a disposizione sul mio profilo linkedin.

Lungi da me scoraggiare la lettura integrale dei libri in questione o sostituirmi alle autorevoli penne che li hanno scritti: si tratta piuttosto della volontà di condividere, in puro spirito “giver”, degli spunti che ho trovato interessanti per me con l’augurio che possano esserlo per altri.

Oggi il progetto ha raggiunto il decimo episodio, con alcune centinaia di migliaia di visualizzazioni e parecchie attestazioni di interesse da consulenti e wealth manager di ogni parte d’Italia.

FT: La particolarità del tuo progetto sta soprattutto nell’affrontare le tematiche dei libri che leggi declinate al mondo finanziario, ci domandiamo quindi come sta influenzando il tuo lavoro? Ti ha aiutato a rimanere vicino alla rete? 

All’inizio proponevo solo la scheda del libro.
Poi qualcuno mi ha suggerito di aggiungere il mio punto di vista, chiedendomi di condividere come pensavo che questi libri potessero essere utili ai consulenti finanziari. 

Ho quindi aggiunto un’ulteriore pagina in cui -il più delle volte- condivido degli spunti raccolti dalle best practice dei colleghi con cui ho la fortuna di lavorare ogni giorno in Azimut.

È dunque diventato un ulteriore esercizio per me, che mi obbliga a mettere a fuoco degli spunti pratici per l’attività dei colleghi, ma mi sta anche aiutando a “catalogare” molte di queste best practice.

In merito alla vicinanza alla rete: OneBookOnePage è stata un’ulteriore occasione per confrontarmi con i colleghi: mi chiamano per discuterne, per confrontarsi su qualcosa che potrebbero fare loro stessi in prima persona. 

In fin dei conti era proprio questa la motivazione iniziale con cui avevo lanciato il progetto; la speranza di poter essere di stimolo.

Mi ha fatto poi particolarmente piacere riscontrare che i feedback positivi e le richieste di confronto su questi temi non arrivano solo da colleghi della mia società, ma anche da consulenti che lavorano per altre realtà. È un terreno comune su cui confrontarsi, indipendentemente dalla maglia che si indossa, con il fine di migliorare la nostra professionalità.

FT: Infine vorremmo chiederti cosa consiglieresti a un ragazzo che sogna di entrare nel mondo della consulenza finanziaria, quale skill secondo te dovrebbe sviluppare? 


Ci sono due elementi che, a parità di condizioni, credo possano fare la differenza per il successo professionale nel mondo della consulenza finanziaria:

  • Le soft skills relazionali: sono sempre più convinto che elementi empatici e di relazione siano sempre meno “soft skills” e sempre più una pietra angolare della professione.
    Non sto parlando della capacità di “essere commerciale” o “vendere”, sto parlando della capacità di allinearsi e sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda dei clienti. Gestirne il patrimonio non è solo individuare il prodotto giusto/migliore, ma piuttosto accompagnare i clienti lungo un percorso durante il quale la fiducia e l’empatia sono fondamentali.
    Ricollegandomi a quanto affermato prima ci sono già e ci saranno sempre di più computer in grado di realizzare un portafoglio (almeno in teoria) migliore di quello che potremmo strutturare noi consulenti, ma non c’è nessun computer -ad oggi- in grado di far “aprire” un cliente nel raccontare i propri obiettivi, sogni, paure.. perché ciò succeda serve una cosa che si chiama empatia e le cosiddette “soft skills relazionali” sono il modo per svilupparla ed affinarla.
  • Competenze tecniche specialistiche. Il tempo dei “generalisti” è finito. Se è vero che la maggior parte delle società di consulenza finanziaria oggi offrono team di specialisti in grado di affiancare un consulente su specifiche esigenze, è anche vero che identificare la propria nicchia e diventarne in prima persona degli esperti ci consente di creare il nostro “oceano blu”.
    Accanto quindi alle competenze relazionali e ad un’ottima conoscenza “generale” degli ambiti necessari per svolgere la professione, credo sia fondamentale individuate una nicchia e specializzarsi in essa. Sarà la porta di ingresso verso il successo professionale.