FT: Iniziamo dal tuo percorso, dal design alla finanza, spiegaci come ci sei arrivato.
Il mio è un percorso molto atipico, che parte dal liceo classico per arrivare forse alla cosa più distante: il mondo fintech. Dopo due lauree con lode in Design della Comunicazione, una in Design Sistemico, un diploma all’Alta Scuola Politecnica, e un master in Design di servizi innovativi, decido di proseguire per la mia strada evitando accuratamente tutte le offerte di lavoro che ricevevomda studi e agenzie del settore creativo. Il mio obiettivo era chiaro, fondare un mio gruppo creativo che avesse una cifra progettuale distintiva rispetto alle agenzie tradizionali. Sarà stata lacasualità, forse indotta dal mio interesse per l’innovazione finanziaria, che mi porta da subito a lavorare con parecchie startup fintech e a disegnare per loro piattaforme di trading di vario genere. Di lì a pochi mesi inizio a cogliere il valore, per i clienti, di una progettazione consapevole, e di quanto possa fare la differenza, nel progettare piattaforme fintech, la conoscenza della materia finanziaria e delle dinamiche competitive di questo settore. La lampadina si accese subito: dovevo fondare un’agenzia specializzata in modo verticale per il settore finanziario. E così è nata Creative Bulls.
FT: Di cosa vi occupate esattamente in Creative Bulls?
Creative Bulls è una fintech enabler, e ci occupiamo di “design finanziario”. Contrariamente a tutte le altre agenzie che si specializzano orizzontalmente per tipologia di skill (c’è chi fa packaging, chi
branding, chi motion design, etc…), noi siamo specializzati verticalmente in uno specifico settore (quello del fintech), al quale offriamo tutte le skill creative che sono necessarie. Crediamo che la nostra forza stia nel progettare guardando con un occhio al design, e con l’altro alla finanza,
potendo fornire quindi una consulenza non solo da esperti di creatività, ma di creatività finanziaria applicata che tiene conto in senso critico del contenuto.
Solitamente i designer non vanno molto d’accordo con i numeri e con la finanza, e quello che capita più spesso nel progettare piattaforme di servizi fintech, è che per quanto esteticamente riuscite, queste piattaforme non siano poi ottimizzate con una user experience davvero funzionale. E questo accade perchè un designer “normale” non ha mai piazzato un ordine di trading in vita sua, e non è in grado solitamente di cogliere certe sottigliezze della psicologia degli utenti fintech, che è invece il
fulcro di qualsiasi piattaforma ben progettata.
FT: Milano, capitale della finanza ma anche del design. Credi che queste caratteristiche possano essere un vantaggio competitivo dell’ecosistema milanese rispetto ad altri hub europei?
Certamente. In quanto italiani abbiamo la fortuna di vivere nella patria del design, e questo non solo ci porta in dote una credibilità acquisita rispetto ad altri ecosistemi europei, ma ci permette anche di confrontarci con designer di alto livello e tenere alta l’asticella delle prestazioni
professionali.
È da parecchi anni che Milano cresce a ritmo sostenuto nell’ambito del fintech, e si sta consolidando sempre più come uno degli ecosistemi più importanti in Europa. Poi sono convinto che l’atmosfera che si respira nelle “settimane creative” (dalla design week alle fashion week) aiuti
a costruire quel fermento di idee e quella voglia di innovare che implicitamente si ripercuotono anche sulle dinamiche fintech, a beneficio di tutte le startup coinvolte. Oltre che di attrarre capitali, che sono evidentemente necessari, c’è anche bisogno di un mindset sociale e creativo che la città di Milano mi sembra sia in grado di offrire piuttosto bene.
FT: Vista la tua esperienza nel campo del design for finance, quali pensi siano i trend creativi che spingeranno il design di piattaforme fintech nel 2021?
La componente di design nel mondo fintech è diventata molto rilevante. Sono ormai parecchi i brand che sfruttano il design come leva competitiva affiancandolo ad altre leve di business. A livello di trend puramente estetici, le piattaforme vanno in una direzione caratterizzata da un copywriting
informale più vicino alle persone, layout con una spiccata “cardizzazione” degli elementi, glass effects e, soprattutto, un look&feel che va sempre più nella direzione stilistica del neumorfismo.
Se parliamo invece di trend di posizionamento, che definiscono i brand fintech dal profondo stiamo assistendo ad un’adozione crescente dell’approccio di business purpose-driven, che permette a chi lo adotta di presentarsi non solo come soggetto in grado di portare innovazione
finanziaria ma anche di essere portatore di uno scopo sociale più elevato.
FT: Ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che ha appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?
Iniziare la propria carriera in una startup può essere molto motivante ma può anche disorientare, soprattutto per la mancanza di un confronto pratico rispetto al funzionamento interno di una big corporation. Siamo in un periodo storico in cui convivono realtà lavorative antitetiche, dove la
mentalità agile e flessibile delle startup non è ancora così pervasiva da aver soppiantato le metodiche di lavoro tradizionalmente più “corporate”, e per questo credo sia necessario conoscere bene le dinamiche di entrambi i mondi per poter cavalcare professionalmente al meglio la transizione dal vecchio al nuovo ed essere sicuri difronte alle eventuali incognite. Sembra che si stia tendendo a dinamiche lavorative più simili alle startup, ma finchè esisteranno soggetti che per quanto antiquati sono ancora molto rilevanti, non si potrà prescindere dall’importanza che potrebbe avere l’aver fatto un’esperienza anche in questo tipo di aziende più tradizionali. Per sapere cosa è bene non fare, a volte potrebbe essere utile averlo sperimentato di persona.