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ALESSANDRO RAVANETTI, FINTECH COPYWRITER E CONTENT STRATEGIST

FT: Ci potresti raccontare il tuo percorso professionale, come sei arrivato al fintech?

Il mio percorso è iniziato da Londra, dove ho fatto un master in finanza (concluso in piena crisi finanziaria del 2008!) e le mie prime esperienze professionali. Inizialmente ho lavorato per Bloomberg, che può essere considerata a tutti gli effetti una fintech ante litteram, e con varie società di consulenza. 

Essendo però sempre stato attratto da tecnologia e startups ho poi deciso di unirmi a una delle prime piattaforme di equity crowdfunding in Europa e successivamente creare uno spin-off di questa, per co-fondare una società B2B con cui si forniva l’infrastruttura API per creare altre piattaforme fintech. 

Un periodo che per me è durato sette anni, in cui sono stato responsabile di gestire marketing e comunicazione, e tramite cui abbiamo permesso di lanciare oltre 100 piattaforme in diversi paesi. Avventura senz’altro formativa e interessante, ma da cui ho anche imparato che se a un certo punto capisci che non c’è sintonia di vedute su come sviluppare la società e su alcuni valori di base, è meglio che ognuno continui per la propria strada. Concluso quel capitolo, negli ultimi due anni ho iniziato a collaborare con varie startup e altre aziende che operano nel settore.

FT: Di cosa ti stai occupando in questo periodo?

Sto lavorando su vari fronti. Principalmente mi occupo di copywriting e content strategy come freelance e lo faccio da Barcellona. Il progetto che mi sta assorbendo di più è con Enel X. Trovo molto interessante che una realtà così importante abbia deciso di entrare nel fintech con un progetto ambizioso, sia lato consumer, con una soluzione di mobile banking rappresentata da Enel X Pay, che lato business, con soluzioni di payment technology per le imprese. Con il piano di andare a sviluppare tutta una serie di servizi finanziari digitali integrati con l’ecosistema Enel. 

Creazione di contenuti a parte, collaboro anche come esperto per la valutazione di richieste di finanziamento con vari programmi collegati alla Commissione Europea, oltre ad aiutare la selezione delle startup più promettenti per SXSW, e a curare una newsletter settimanale con Techstars, in cui copro novità e approfondimenti riguardanti il fintech.

FT: Quali sono dal tuo punto di vista le peculiarità dell’ecosistema fintech italiano rispetto agli altri hub europei?

In Italia si è partiti più tardi e con meno decisione che altrove. E’ un ecosistema ancora piuttosto piccolo. Meno sviluppato rispetto a quello di Germania e Francia, e per il momento non paragonabile rispetto a quello in UK, che rimane di gran lunga il più avanzato in Europa. Detto ciò negli ultimi anni si sono viste varie storie di successo che fanno ben sperare. Si tratta senz’altro di un mercato meno saturo, con un buon potenziale, dove c’è spazio per nuove iniziative. E dove le valutazioni delle startup rimangono per il momento più basse, con la possibilità di rappresentare una buona occasione per chi è interessato a investire. In sostanza, le opportunità ci sono, la speranza é che ora si inizi a pensare più in grande.

FT: Vista la tua esperienza nel il fintech quali pensi siano i trend che spingeranno il settore nel 2021? 

Sempre difficile fare delle previsioni, ma provo a indicare alcuni punti: 

Continueremo a vedere gli effetti spinti da quanto accaduto nell’ultimo anno a livello sanitario. Sempre più cashless, con soluzioni digitali per i pagamenti e per la gestione delle spese quotidiane, più ricche e sofisticate.

Si continuerà forte anche sul tema dell’embedded finance e della modularizzazione dei servizi finanziari. Con sempre più aziende, che siano Big Tech o grandi corporations operanti in settori tradizionali, che cercheranno di entrare nel settore, integrando nella loro offerta servizi finanziari usando la tecnologia e i prodotti di società fintech.

Mi aspetto poi un’ulteriore accelerazione sia per quel che riguarda le attività di M&A, che per SPAC IPOs e mega-rounds. Con la polarizzazione tra round di finanziamento piccoli e quelli sopra i €100 milioni. E la conseguente controindicazione di creare un gap per chi deve scalare con round medi.

Mi auguro poi più attenzione per quel che riguarda l’inclusione finanziaria. Con la speranza anche di vedere nascere più startup purpose driven. Più focalizzate a risolvere problemi reali e ad ambire a creare un sistema finanziario più trasparente e aperto. Con maggior focus su qualità del prodotto, felicità e salute mentale del gruppo di lavoro, ed etica dei progetti intrapresi. E meno ossessione su crescita, funding e exit.

FT: Ti sentiresti di consigliare un’esperienza in una start-up fintech a un giovane che ha appena completato gli studi o consigli prima un’esperienza in una grande corporation?

È un grande “dipende”. Prima di tutto da cosa si cerca a livello personale, ma anche dalla situazione di partenza e dalle opportunità che si presentano. Nella scelta credo comunque abbiano maggior peso le persone con cui si lavora rispetto alle dimensioni della società. Ci sono poi vantaggi e svantaggi in entrambi i casi. Non penso però sia troppo utile seguire i consigli di altri, ma invece sperimentare,  guardare con curiosità entrambi i mondi, e cercare di capire quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

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